L’accordo intervenuto sulla creazione di un nuovo strumento finanziario (il Next Generation EU) e su un debito comune europeo, potrebbe far pensare che l’UE sia in grado di evolvere progressivamente verso un governo europeo senza la revisione dei Trattati in vigore.
Nulla garantisce tuttavia che i passi in avanti realizzati con il Next Generation EU e il debito comune europeo in quanto risposta dell’UE alla crisi pandemica diventino strumenti permanenti e non contingenti della governance europea se non fossero a termine consolidati in una riforma dei Trattati in vigore.
Da un lato, infatti, alcuni Stati hanno accettato la messa in atto di tali strumenti solo in quanto straordinari e non permanenti, dall’altro si tratta di strumenti che possono sempre essere contestati in quanto non previsti dai Trattati in vigore (artt. 125, 310 e 311 TFUE).
Per questo occorre mettere mano ad una vera e propria riforma costituente dell’Unione europea.
1. Premessa • 2. Come riformare l’Unione Europea • 3. Stato Federale oppure Unione Federale • 4. Il Potere Costituente • 5. I progetti costituzionali nella storia dell’integrazione europea • 6. Elementi necessari alla creazione di una Unione Federale.
La prima questione da porre è se la riforma dei meccanismi istituzionali e delle politiche dell’Unione europea esige necessariamente una riforma dei Trattati europei in vigore o se sia possibile un’evoluzione progressiva della stessa UE attraverso modifiche puntuali della governance in vigore attuate dai governi nazionali e dalle Istituzioni esistenti. L’accordo intervenuto sulla creazione di un nuovo strumento finanziario (il Next Generation EU) e su un debito comune europeo che gli Stati rimborseranno progressivamente fino al 2058 tramite l’introduzione di nuove imposte europee che forniranno risorse proprie al bilancio europeo potrebbe far pensare che l’UE sia in grado di evolvere progressivamente verso un governo europeo senza la revisione dei Trattati in vigore. Nulla garantisce tuttavia che i passi in avanti realizzati con il Next Generation EU e il debito comune europeo in quanto risposta dell’UE alla crisi pandemica diventino strumenti permanenti e non contingenti della governance europea se non fossero a termine consolidati in una riforma dei Trattati in vigore. Da un lato, infatti, alcuni Stati hanno accettato la messa in atto di tali strumenti solo in quanto straordinari e non permanenti, dall’altro si tratta di strumenti che possono sempre essere contestati in quanto non previsti dai Trattati in vigore (artt. 125, 310 e 311 TFUE). Per questo occorre mettere mano ad una vera e propria riforma costituente dell’Unione europea.
La procedura oggi in vigore per la modifica dei Trattati (art. 48 TUE) implica necessariamente l'accordo di tutti gli Stati membri al momento della firma e l'accordo unanime successivo degli stessi Stati (27) tramite ratifica da parte dei rispettivi Parlamenti oppure, in alcuni Stati, tramite un referendum popolare. È tuttavia notoria la difficolta di trovare un accordo tra i 27 Stati membri, date le divergenti visioni sugli obiettivi del processo d’integrazione. Il diritto internazionale offre due soluzioni per aggirare tale difficolta.
Una soluzione sarebbe quella di invocare la clausola “rebus sic stantibus” prevista dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati e di concludere pertanto un nuovo Trattato con regole diverse con gli Stati che fossero d'accordo per una riforma più sostanziale dell'Unione europea. Tale soluzione condurrebbe al risultato di aggirare la regola dell'accordo unanime degli Stati prevista dall’art. 48 TUE e di permettere la conclusione di un nuovo Trattato con l'accordo di una maggioranza (da determinare) degli Stati attuali. Questo risultato potrebbe essere raggiunto anche attraverso un’altra via, e cioè con l’inserimento nel testo del nuovo trattato di una clausola che preveda la sua entrata in vigore nei soli paesi in cui i rispettivi Parlamenti nazionali lo avessero ratificato (oppure in cui le rispettive popolazioni lo avessero approvato nel referendum popolare). Infatti, in assenza di un vero e proprio popolo europeo (il Trattato di Lisbona parla di cittadini dell’Unione e non di un popolo europeo), sarebbe giuridicamente e politicamente impossibile vincolare uno o più Stati all’adesione al nuovo Trattato nel caso in cui il loro Parlamento oppure la loro popolazione si esprimessero in senso contrario a tale adesione nel voto parlamentare oppure nel voto referendario.
La conclusione di un nuovo Trattato potrebbe risolvere il problema dell’integrazione differenziata in seno all’attuale Unione europea in quanto gli Stati desiderosi di mantenere l’attuale livello di integrazione potrebbero farlo rimanendo vincolati alle disposizioni dei Trattati attuali, mentre gli Stati che volessero progredire verso una vera e propria unione federale sarebbero liberi di concludere il nuovo Trattato contenente disposizioni supplementari in questa direzione. Naturalmente, occorrerebbe precisare nello stesso Trattato o in un Trattato separato le relazioni tra l’attuale Unione europea e la nuova Unione federale.
La riforma dell'Unione europea sara funzione degli obiettivi che gli Stati membri, le forze politiche e i cittadini dell’attuale Unione europea si prefiggono di raggiungere. Non è realistico pensare alla creazione di uno Stato federale che sostituisca gli Stati nazionali esistenti, in alcuni casi, da centinaia di anni, poiché in tal caso occorrerebbe dotare le Istituzioni del nuovo Stato della totalita delle competenze che spettano oggi agli Stati nazionali. Se invece ritenessimo che lo Stato nazionale non è più in grado di svolgere la totalita delle funzioni svolte nell’Ottocento ed esercitare una sovranita assoluta in tutti i suoi campi di attivita, in tal caso la soluzione più realistica sarebbe di creare un’unione federale degli Stati nazionali esistenti (o di una parte di essi) per aggregazione degli stessi ma senza per questo sopprimere gli Stati nazionali esistenti. Si tratterebbe in tal caso di condividere la sovranita che al giorno d’oggi non può più essere assoluta come nell’Ottocento ma condivisa tra lo Stato nazionale e un’unione federale che disponga di poteri “limitati ma reali”.
Questo testo non è il luogo appropriato per un’analisi teorica della dottrina costituzionalista e delle diverse forme che potrebbe assumere il potere costituente in quanto atto fondativo di una nuova Unione europea (che si fondi su una Costituzione europea o su una Legge Fondamentale).
Basta limitarsi a constatare l’esistenza di una dottrina detta “contrattualista” secondo cui la “Costituzione” o altro Atto fondativo si configura come un “contratto sociale” mediante il quale una comunita di persone o di popoli decidono di darsi uno “statuto” di cittadini di una nuova organizzazione politica.
Nel caso dell’Unione europea, tale potere costituente potrebbe essere esercitato in diversi momenti della sua vita istituzionale :
1) alla fine della Conferenza sul futuro dell’Europa, qualora un numero significativo di cittadini e di organizzazioni europee chiedessero al Parlamento europeo di elaborare un progetto di riforma dell’Unione europea al fine di ampliare le sue competenze e di concludere un nuovo Trattato costituzionale che desse vita ad un’unione federale;
2) alla vigilia di una delle prossime elezioni europee, qualora le principali forze politiche europee volessero dotare il nuovo Parlamento europeo eletto dai cittadini di un ruolo costituente da esercitare nel corso della legislatura elaborando un nuovo progetto di Trattato da sottoporre ai Parlamenti nazionali o ad un referendum paneuropeo;
3) al più tardi, quando gli Stati europei attualmente membri del G7 non disponessero più di un prodotto interno lordo (PIL) che li situasse tra i sette paesi più industrializzati del pianeta. In tal caso, solo la nuova Unione europea disporrebbe dei requisiti economici per essere membra di un futuro G7.
Nel corso del processo di integrazione europea si è giunti in due occasioni all’elaborazione di progetti, poi abortiti, che avrebbero comportato passi in avanti decisivi nella direzione della creazione di un’Unione federale.
Il primo progetto costituzionale abortito è stato il progetto di “comunita politica europea” (CPE) elaborato nel 1953 dall’Assemblea ad hoc della CECA (su mandato dei governi dei sei paesi fondatori). Tale progetto era fondato sull’art. 38 del Trattato della Comunita europea di difesa (CED). Esso prevedeva un Parlamento bicamerale, di cui la prima Camera o Camera dei popoli eletta a suffragio universale e la seconda un Senato designato dai Parlamenti nazionali. Il progetto di Trattato prevedeva un Consiglio esecutivo europeo (ispirato dall’Alta Autorita della CECA) che avrebbe esercitato il governo della Comunita e la cui nomina non dipendeva dagli Stati membri. Era previsto anche un Consiglio dei ministri nazionali, formato dai rappresentanti degli Stati membri, al fine di armonizzare l’azione del governo europeo e quella dei governi nazionali.
Tale progetto non ha avuto seguito a causa della bocciatura della CED da parte dell’Assemblea nazionale francese nel 1954.
Il progetto di Trattato, elaborato all’iniziativa e sotto l’impulso di Altiero Spinelli e votato dal Parlamento europeo nel Febbraio 1984, costituisce il secondo tentativo di dotare l’Unione europea di una base costituzionale (anche se, con il suo realismo politico, Altiero Spinelli non utilizza il termine “costituzionale” per qualificare il suo progetto). Malgrado tale prudenza di linguaggio, il Trattato del 1984 conteneva numerose innovazioni fondamentali che si possono qualificare di “costituzionali” nel senso classico del termine : una separazione più chiara dei poteri tra due Camere legislative che votavano a maggioranza (il Parlamento europeo ed il Consiglio dell’Unione, quest’ultimo votando in regola generale a maggioranza qualificata, salvo per un periodo transitorio di 10 anni) ed un Esecutivo /governo (la Commissione europea); una responsabilita politica chiara della Commissione nei riguardi del Parlamento europeo; una differenziazione tra la “legge organica” e la legislazione ordinaria relativa alle politiche; l’attribuzione all’Unione di un potere fiscale autonomo; l’introduzione dei diritti fondamentali e di sanzioni nei riguardi degli Stati membri che li violassero (prima della Carta europea dei Diritti fondamentali); last but not least, il principio maggioritario (maggioranza degli Stati membri rappresentanti i due terzi della popolazione) per l’entrata in vigore del Trattato. Il tentativo di Altiero Spinelli di dotare l’Unione di un testo costituzionale fallì a profitto di una riforma più limitata dei Trattati (l’Atto unico europeo) che non conteneva nessuno degli elementi novatori del Trattato Spinelli. Tuttavia, i due terzi delle disposizioni novatrici del progetto Spinelli sono stati introdotti progressivamente nei Trattati successivi, all’eccezione delle norme più importanti (il principio maggioritario per l’entrata in vigore dei Trattati, il potere fiscale autonomo dell’Unione e la gerarchia delle norme).
In maniera generale, si può affermare che i due progetti “costituzionali” preservavano sostanzialmente il ruolo delle Istituzioni principali dell’attuale Unione europea, compreso il Consiglio europeo, sia pure con competenze diverse, e il ruolo degli Stati membri nell’architettura istituzionale dell’Unione europea.
Se l’Unione europea dovesse avviare una fase costituente (vedi sopra), occorrerebbe definire gli elementi e/o le competenze che dovrebbero essere iscritti/e in un nuovo Trattato affinché l’attuale Unione europea diventi un’unione federale:
(1) Il primo elemento necessario sarebbe l’elaborazione e l’approvazione di un testo costituzionale che attribuisca una legittimita politica e giuridica alla nuova entita attraverso un processo costituente che permetta la sua validazione da parte dei cittadini europei e/o dei suoi rappresentanti attraverso una ratifica popolare o parlamentare. Il termine “Legge Fondamentale” – gia utilizzato dalla Germania odierna per differenziarlo dalla Costituzione di Weimar - sarebbe preferibile a quello di Costituzione (pur avendo lo stesso significato e contenuto) al fine di evitare una polemica in un eventuale referendum popolare sulla questione di sapere se la nuova “Costituzione” europea sia o no superiore alle Costituzioni nazionali esistenti. La risposta è evidentemente che la nuova “Legge Fondamentale” ha la priorita rispetto alle Costituzioni nazionali nei soli campi di attivita in cui essa ha attribuito competenze (e quindi sovranita) all’Unione europea, ma non intacca le disposizioni delle Costituzioni nazionali negli altri campi di attivita.
(2) Il secondo elemento necessario sarebbe la costituzione di un vero e proprio governo europeo – responsabile nei riguardi di un Parlamento europeo - che disponga delle funzioni esecutive indispensabili nei settori di competenza dell’Unione (= poteri limitati ma reali). Alcuni ritengono che il nuovo governo europeo dovrebbe essere un’emanazione dell’attuale Commissione europea modificando tuttavia la sua composizione di un membro per ogni Stato e le sue competenze. La Commissione europea ha gia indicato in un suo rapporto sull’Unione europea la sua disponibilita ad essere soppressa nel momento in cui si formera un vero e proprio governo europeo. L’essenziale è che i membri del futuro governo europeo, che siano scelti dal Presidente unico della nuova UE – eventualmente eletto direttamente dai cittadini europei - oppure dai governi nazionali degli Stati membri, siano responsabili direttamente nei riguardi del futuro Parlamento (composto da una doppia Camera degli Stati e dei popoli) e facciano l’oggetto di un voto di fiducia di quest’ultimo. Se i membri del nuovo governo europeo fossero scelti direttamente dal Presidente unico dell’Unione, non dovrebbero necessariamente avere la nazionalita di tutti gli Stati Membri (vale a dire che il Presidente del governo europeo potrebbe scegliere più cittadini di uno Stato membro e al tempo stesso nessun cittadino di un altro Stato). Il Trattato dovra precisare se il nuovo governo europeo disporra di un diritto d’iniziativa legislativa oppure se quest’ultimo sara affidato al nuovo Parlamento composto da due Camere. I due progetti costituzionali gia elaborati prevedono sostanzialmente che l’iniziativa legislativa spetti sia all’organo esecutivo (= governo) che all’organo parlamentare.
(3) Il terzo elemento è che il governo europeo dovrebbe essere responsabile nei riguardi di un nuovo Parlamento bicamerale (composto da una Camera degli Stati e una Camera dei popoli). Il problema che si pone è quello di mantenere o meno in vita l’attuale struttura di un Consiglio di Ministri (e, a fortiori, di un Consiglio europeo) in quanto secondo organo legislativo e, addirittura, per quanto riguarda il Consiglio europeo, come organo principale di direzione e di impulso politico dell’Unione. I due progetti costituzionali gia menzionati prevedevano entrambi il mantenimento di una struttura politica intergovernativa (nel caso della CPE a complemento di un Parlamento bicamerale). Una soluzione potrebbe essere quella, mutatis mutandis, del progetto Spinelli, nel senso di mantenere in vigore una struttura “intergovernativa” per un periodo transitorio prima di passare ad un unico Parlamento bicamerale. Una volta deciso di rimpiazzare l’attuale Consiglio dei ministri (e anche il Consiglio europeo), composti entrambi da un rappresentante per ogni Stato membro e che decidono spesso all’unanimita o per consenso, sara indispensabile che la nuova Camera degli Stati sia composta da un numero paritario di Stati (mentre la Camera bassa sara composta in modo proporzionale alla popolazione), entrambe votando con procedure maggioritarie. Se questa soluzione è stata accettata nella Costituzione americana con il “great compromise” di Filadelfia, a fortiori dovrebbe essere prevista nella nuova Unione federale europea in cui molti Stati membri esistono da molti secoli (contrariamente agli Stati federati americani). L’essenziale è che la nuova Camera bassa sia votata dai cittadini europei sulla base di liste transnazionali (inizialmente per una parte dei seggi, che venga aumentata progressivamente) e pertanto di partiti effettivamente europei con programmi realmente comuni e non, come oggi, sulla base di programmi genericamente europei ma che sono in realta la somma di programmi nazionali. Occorrera evitare che i membri della nuova Camera bassa votino su basi sostanzialmente nazionali, come accade assai frequentemente per gli eurodeputati del Parlamento europeo (ad esempio, i MEPS francesi votano in blocco le risoluzioni in materia di politica agricola che corrisponde ad un interesse nazionale francese).
(4) Il quarto elemento sarebbe quello di introdurre nella Legge Fondamentale un nuovo sistema di ripartizione delle competenze tra l’Unione federale e i suoi Stati membri che abbia un carattere più permanente e che soprattutto abolisca il potere esclusivo degli Stati membri di attribuire competenze all’Unione federale (vale a dire abolire il potere attuale degli Stati di essere i “padroni dei Trattati”). Questo cambiamento sarebbe legittimato da un’approvazione popolare o da parte dei Parlamenti nazionali della nuova “Legge Fondamentale”. Nello stesso tempo, un nuovo sistema di ripartizione delle competenze dovrebbe attribuire all’Unione federale una sua “autonomia strategica” che le permettesse di esercitare competenze proprie sia nella politica estera che in quella interna. In politica estera, l’Unione federale avra bisogno di una capacita di difesa autonoma che renda credibili le sue decisioni (invio di missioni di mantenimento della pace, forze d’intervento, ecc..) ma non potra per molto tempo assumere l’interezza della sua capacita militare (gli Stati membri dovranno conservare un ruolo militare essenziale). Inoltre, in politica interna, l’autonomia strategica dell’Unione federale riguardera la moneta (ruolo internazionale dell’Euro), l’economia/finanza (capacita fiscale autonoma), la sicurezza interna (lotta al terrorismo e alla criminalita organizzata), la capacita di competere nel mercato globale (a cominciare dall’agenda digitale e dalla intelligenza artificiale), le relazioni con i paesi vicini (la politica di prossimita avviata da Prodi) e con l’Africa, che appartengono all’azione esterna dell’UE e che possono essere rafforzate in una logica federale con un ruolo di iniziativa e di rappresentanza del governo europeo e con le decisioni delle due Camere legislative prese a maggioranza.
(5) Il quinto elemento (gia accennato nel quarto) sarebbe quello di dotare la nuova Unione di un bilancio federale che disponga di vere e proprie risorse proprie e, in particolare, di una capacita fiscale autonoma che permetta alla nuova Unione federale di imporre imposte europee direttamente sulle imprese e sui cittadini dell’Unione. Infatti, nella sua stesura attuale, l’art. 311 TFUE secondo cui “l’Unione si dota dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi” è interpretato diversamente dagli esegeti dei Trattati. Secondo alcuni, esso autorizza l’imposizione di tasse europee, secondo altri (vedi rapporto Monti del 2016) l’UE non può imporre direttamente tasse europee. Vedremo fra poco tempo, secondo il calendario concordato tra il Consiglio dei ministri ed il Parlamento europeo, se l’UE sara in grado di procurarsi autonomamente nuove risorse proprie attraverso l’imposizione di tasse europee quali la web tax, la carbon tax o la corporate tax. L’essenziale è che la nuova Unione federale disponga della capacita autonoma di prelevare direttamente delle imposte europee sulle imprese e sui cittadini (come faceva nel passato l’Alta Autorita della CECA nei confronti dei produttori di carbone o di acciaio) senza passare attraverso l’armonizzazione preventiva delle imposte nazionali e pertanto senza l’intervento dei bilanci nazionali.
(6) il sesto e ultimo elemento necessario alla creazione di una vera e propria Unione federale sarebbe la revisione delle disposizioni dei Trattati vigenti in materia di difesa dei valori fondamentali dell’Unione e dello Stato di diritto. Il Trattato di Lisbona è stato interpretato diversamente da chi attribuisce un valore preminente alla difesa dell’identita nazionale e da chi ritiene preminente il rispetto dello Stato di diritto e il principio di leale collaborazione tra le Istituzioni e gli Stati membri. La Corte di giustizia ha gia sancito la necessita di rispettare l’autonomia di una magistratura indipendente come anche di una stampa libera e non soggetta a censura da parte del potere politico. Pertanto, sarebbe necessario rivedere le disposizioni attuali che impediscono, grazie ad una procedura che richiede l’unanimita, di sanzionare effettivamente le violazioni dello Stato di diritto. In altre Organizzazioni come l’ONU o il Consiglio d’Europa è prevista la possibilita di sospendere uno Stato membro in caso di violazioni dello Stato di diritto. Una disposizione in tal senso dovrebbe essere introdotta nella Legge Fondamentale dell’Unione federale europea.
L’accordo intervenuto sulla creazione di un nuovo strumento finanziario (il Next Generation EU) e su un debito comune europeo, potrebbe far pensare che l’UE sia in grado di evolvere progressivamente verso un governo europeo senza la revisione dei Trattati in vigore.
Nulla garantisce tuttavia che i passi in avanti realizzati con il Next Generation EU e il debito comune europeo in quanto risposta dell’UE alla crisi pandemica diventino strumenti permanenti e non contingenti della governance europea se non fossero a termine consolidati in una riforma dei Trattati in vigore.
Da un lato, infatti, alcuni Stati hanno accettato la messa in atto di tali strumenti solo in quanto straordinari e non permanenti, dall’altro si tratta di strumenti che possono sempre essere contestati in quanto non previsti dai Trattati in vigore (artt. 125, 310 e 311 TFUE).
Per questo occorre mettere mano ad una vera e propria riforma costituente dell’Unione europea.
In seguito alla crisi sistemica che in questi ultimi anni ha vissuto l’Unione europea è iniziato un vasto dibattito tra cittadini, accademici, politici nazionali ed europei sul futuro del processo di integrazione. Coloro che credono ancora nel progetto dell’Europa unita hanno ribadito l’esigenza di rifondare l’Unione attraverso una serie di riforme istituzionali e il lancio di nuove politiche comuni al fine di soddisfare le aspettative e le aspirazioni dei cittadini europei.
Tra le proposte di riforma avanzate finora, è necessario soffermarsi sulprogetto di capacità fiscaledata l’importanza strategica che esso può avere per il rilancio del processo di integrazione.
Scopo del presente contributo è quello di spiegare:
- cosa si intende per capacità fiscale;
- perché è così importante;
- la differenza rispetto ad altri progetti con i quali la capacità fiscale tende ad essere confusa;
- come potrebbe essere realizzata la capacità fiscale nel quadro di una riforma complessiva dell’Unione.
Per comprendere le modalità attraverso le quali l’Unione europea si finanzia, e capire così quali interventi politico-istituzionali servono per creare le condizioni per un bilancio europeo adeguato, è necessario distinguere due aspetti:
- La procedura attraverso la quale sono decise le risorse delle quali l’Unione può disporre;
- La tipologia di risorse a disposizione dell’Unione europea.
La necessità di superare il potere di veto da parte di singoli Stati membri estendendo il voto a maggioranza a tutti i settori di competenza dell’Unione europea è sicuramente una questione centrale nel dibattito sul futuro del processo di integrazione europea. Secondo alcuni, tuttavia, l’abbandono dell’unanimità nei settori nei quali essa è tuttora applicata e la sua sostituzione con decisioni a maggioranza qualificata rappresenterebbero di per sé una riforma in grado di trasformare l’Unione europea in una Federazione, consentendole di emanciparsi dal controllo che gli Stati membri tuttora esercitano sul suo funzionamento. In questa nota si vuole invece spiegare perché la sola riforma del sistema di voto all’interno degli organi che rappresentano direttamente gli Stati non è sufficiente alla creazione di una Unione federale, e analizzare a quali passi deve accompagnarsi.
La necessità di superare il potere di veto da parte di singoli Stati membri estendendo il voto a maggioranza a tutti i settori di competenza dell’Unione europea è sicuramente una questione centrale nel dibattito sul futuro del processo di integrazione europea. Secondo alcuni, tuttavia, l’abbandono dell’unanimità nei settori nei quali essa è tuttora applicata e la sua sostituzione con decisioni a maggioranza qualificata rappresenterebbero di per sé una riforma in grado di trasformare l’Unione europea in una Federazione, consentendole di emanciparsi dal controllo che gli Stati membri tuttora esercitano sul suo funzionamento. In questa nota si vuole invece spiegare perché la sola riforma del sistema di voto all’interno degli organi che rappresentano direttamente gli Stati non è sufficiente alla creazione di una Unione federale, e analizzare a quali passi deve accompagnarsi.
L’unanimità come metodo di decisione nei settori che toccano il cuore della sovranità statale
L’unanimità costituisce ancor oggi il metodo di votazione utilizzato in alcuni settori cruciali per il funzionamento dell’Unione. Se è vero, infatti, che dalla creazione della Comunità Economica Europea ad oggi le ipotesi di decisione all’unanimità nel Consiglio sono notevolmente diminuite, soppiantate da decisioni a maggioranza qualificata, non va dimenticato che un consenso unanime degli Stati in seno al Consiglio (o al Consiglio europeo) è sempre richiesto nei due settori che costituiscono il nocciolo duro della sovranità: quello della fiscalità (l’ammontare del bilancio dell’Unione e la natura ed entità delle risorse che lo finanziano sono decisi dal Consiglio all’unanimità e tale decisione deve poi essere ratificata da tutti gli Stati membri; come pure l’unanimità è richiesta per l’approvazione del Quadro Finanziario Pluriennale) e quello della politica estera e di difesa (nel quale ogni decisione è presa dal Consiglio o dal Consiglio europeo con il consenso unanime di tutti gli Stati). La necessità di un accordo unanime in seno agli organi europei che rappresentano i governi relativamente ai due settori considerati risulta poi rafforzata da alcune altre disposizioni che rendono evidente come fosse ferma intenzione degli Stati mantenere nelle loro mani il controllo delle competenze che definiscono la sovranità statale.
Innanzitutto, in entrambi i casi non solo è richiesta una decisione unanime del Consiglio, bensì il Parlamento europeo è quasi totalmente escluso dalla presa di decisione. Nel caso della decisione sulle risorse proprie, infatti, esso viene solo consultato, e lo stesso vale nel settore della politica estera e di sicurezza comune. In tale ultimo settore, peraltro, l’art. 31 TUE prevede espressamente che non si possano adottare atti legislativi, escludendo in questo modo che si possa prevedere l’adozione di decisioni con una procedura (quella legislativa ordinaria) che ponga su un piede di parità Parlamento europeo e Consiglio.
Inoltre, se è vero che i trattati prevedono – sia in alcune disposizioni specifiche, sia in generale nell’art. 48 TUE – le cosiddette clausole passerella, e cioè la possibilità che il Consiglio europeo (o nelle ipotesi specifiche il Consiglio) consenta, all’unanimità, che in un determinato settore il Consiglio non decida più all’unanimità, bensì a maggioranza qualificata (o si passi da una procedura legislativa speciale a una procedura legislativa ordinaria), non va dimenticato che il trattato vieta espressamente che tali passerelle si applichino nel caso di decisioni “che hanno implicazioni militari o che rientrano nel settore della difesa” o alle ipotesi di cui agli artt. 311, commi 3 e 4, e 312, comma 1, par. 2, TFUE (decisione sulle risorse proprie e approvazione del Quadro Finanziario Pluriennale).
Al di là del fatto che tali passerelle, anche nei settori nei quali sarebbero possibili, non sono mai state applicate, l’espressa previsione dell’impossibilità di farne uso nei due settori che costituiscono il nucleo della sovranità statale non è casuale, bensì risponde appieno alla logica del metodo comunitario e alle caratteristiche di fondo del processo di integrazione così come concepito fin dalla creazione della CEE.
Il successo del metodo comunitario nella creazione del Mercato unico e i suoi limiti
In effetti, fin dalla creazione della Comunità Economica Europea, il processo di integrazione si è fondato sull’idea di creare forme di cooperazione sempre più stretta tra Stati sovrani e di esercizio in comune di funzioni statali in alternativa al trasferimento di alcune di queste a livello europeo. Per quanto l’evoluzione del processo di integrazione abbia con ogni probabilità superato le aspettative degli stessi Padri Fondatori in termini di rafforzamento dei legami e dell’interdipendenza tra gli Stati membri, tali caratteristiche si sono mantenute inalterate nell’Unione europea, proprio perché specifiche del patto fondativo sulla base del quale il processo di integrazione si è sviluppato. La struttura dell’Unione europea è infatti acefala, nel senso che si tratta di un’organizzazione concepita espressamente come priva di un governo, cioè di un potere superiore agli Stati in grado di assumere decisioni politiche, ed è fondata esclusivamente su forme di governance, ossia forme di esercizio in comune di sovranità statali.
Si tratta di un meccanismo che ha funzionato particolarmente bene per la creazione di un mercato comune, dato il particolare tipo di intervento di natura tecnica e amministrativa necessario in questo settore. In questo campo, per quanto l’Unione europea non disponga di un apparato amministrativo proprio sul territorio degli Stati membri, e dunque in ultima analisi l’esecuzione delle disposizioni dell’Unione dipenda dall’attività delle amministrazioni degli Stati membri, il metodo comunitario ha esplicato tutte le proprie potenzialità: un Parlamento europeo co-legislatore insieme al Consiglio, e dunque limitazione delle ipotesi di decisione all’unanimità, atti - quali i regolamenti - direttamente applicabili negli ordinamenti degli Stati membri, un controllo giurisdizionale pieno da parte della Corte di giustizia. Si tratta di settori, infatti, nei quali, la sovranità statale subisce delle compressioni, ma non è posta in pericolo, e dunque gli Stati hanno accettato che il diritto dell’Unione europea, attraverso i propri strumenti di carattere normativo, si imponesse agli Stati membri, anche senza il loro consenso unanime.
Un discorso totalmente differente, come accennato sopra, va applicato invece ai settori che toccano il cuore della sovranità statale e che implicano decisioni di carattere politico: in particolare quello della fiscalità (finanziamento dell’Unione) e quello della politica estera e di difesa. In detti settori, infatti, il potere decisionale è stato mantenuto nelle mani del Consiglio o del Consiglio europeo, con decisione all’unanimità, e si è esclusa dunque la possibilità che il Parlamento europeo esercitasse la sua funzione di co-legislatore e che in tali materie l’Unione potesse legiferare mediante atti direttamente applicabili nel territorio degli Stati membri. Si tratta di una soluzione perfettamente coerente con le premesse del processo di integrazione: in mancanza di un potere esecutivo legittimato democraticamente, le decisioni sono prese in comune dagli esecutivi nazionali che, pur riconoscendo la necessità di cooperare per affrontare sfide di dimensione continentale, non accettano di dar vita a una sovranità europea a loro superiore.
In ultima analisi, come è stato notato, il metodo comunitario facilita la cooperazione tra Stati, ma non comporta un trasferimento di certi poteri a un livello di governo superiore indipendente dagli Stati stessi. Se questo è il modello sul quale i Trattati istitutivi si sono fondati, ne consegue che mantenendosi all’interno dei meccanismi previsti dagli stessi trattati è possibile tentare di migliorare la cooperazione tra Stati, ma non superarla a favore di un modello – quello fondato su una reale integrazione, il modello federale – che poggia su presupposti completamente diversi.
L’esempio della fiscalità
Per tornare alla contrapposizione maggioranza/unanimità, e prendendo in considerazione uno dei settori cardine della sovranità statale, quello della fiscalità, anche ipotizzando (ipotesi vietata espressamente dai Trattati) che nel determinare le risorse a disposizione dell’Unione e il loro ammontare il Consiglio possa decidere a maggioranza qualificata anziché all’unanimità, non usciremmo comunque dalla logica intergovernativa nella quale si muovono in questa materia i Trattati. In primo luogo perché l’art. 311 TFUE stabilisce che tale decisione entri in vigore solo previa approvazione da parte di tutti gli Stati membri secondo le loro rispettive norme costituzionali. In secondo luogo perché l’organo rappresentativo dei cittadini, il Parlamento europeo, manterrebbe un ruolo irrilevante. E in terzo luogo perché la decisione sulle risorse dell’Unione non si rivolge ai cittadini, ma agli Stati membri, dal momento che la potestà fiscale rimane nelle loro mani. Gli Stati membri manterrebbero quindi il potere di decidere e di condizionare la possibilità che l’Unione si finanzi e dunque possa funzionare.
La necessità di passare da un modello fondato sulla cooperazione a un modello fondato sulla creazione di un potere sovranazionale
Che in un contesto quale quello definito dai Trattati attuali il passaggio dall’unanimità alla maggioranza non sia la soluzione emerge chiaramente anche dall’esperienza degli Stati Uniti d’America. L’articolo IX degli Articles of Confederation stabiliva in effetti – contrariamente a quanto fanno i trattati istitutivi dell’Unione europea – che anche in materia di finanziamento della Confederazione e di politica estera e di difesa il Congresso (composto dai rappresentanti degli Stati membri) decidesse a maggioranza[1]. Come nota Hamilton nel Federalist n. 15, tuttavia, il fatto che la decisione non fosse presa all’unanimità non aveva alcuna influenza, dato che le decisioni del Congresso si rivolgevano agli Stati, che dovevano fornire il denaro per finanziare la Confederazione e gli uomini per formare il suo esercito, e che potevano dunque rifiutarsi di darvi esecuzione[2].
[1] “The united states in congress assembled shall never engage in a war, nor grant letters of marque and reprisal in time of peace, nor enter into any treaties or alliances, nor coin money, nor regulate the value thereof, nor ascertain the sums and expences necessary for the defence and welfare of the united states, or any of them, nor emit bills, nor borrow money on the credit of the united states, nor appropriate money, nor agree upon the number of vessels of war, to be built or purchased, or the number of land or sea forces to be raised, nor appoint a commander-in-chief of the army or navy, unless nine states assent to the same; nor shall a question on any other point, except for adjourning from day to day be determined, unless by the votes of a majority of the united states in congress assembled”. [corsivo mio].
[2] “The great and radical vice in the construction of the existing Confederation is in the principle of legislation for states or governments, in their corporate or collective capacities, and as contradistinguished from the individuals of which they consist. Though this principle does not run through all the powers delegated to the Union, yet it pervades and governs those on which the efficacy of the rest depends. Except as to the rule of appointment, the United States has an indefinite discretion to make requisitions for men and money; but they have no authority to raise either, by regulations extending to the individual citizens of America. The consequence of this is, that though in theory their resolutions concerning those objects are laws, constitutionally binding on the members of the Union, yet in practice they are mere recommendations which the States observe or disregard at their option … Government implies the power of making laws. It is essential to the idea of a law, that it be attended with a sanction; or, in other words, a penalty or punishment for disobedience. If there be no penalty annexed to disobedience, the resolutions or commands which pretend to be laws will, in fact, amount to nothing more than advice or recommendation. This penalty, whatever it may be, can only be inflicted in two ways: by the agency of the courts and ministers of justice, or by military force; by the coercition of the magistracy, or by the coercition of arms. The first kind can evidently apply only to men; the last kind must of necessity, be employed against bodies politic, or communities, or States. It is evident that there is no process of a court by which the observance of the laws can, in the last resort, be enforced. Sentences may be denounced against them for violations of their duty; but these sentences can only be carried into execution by the sword. In an association where the general authority is confined to the collective bodies of the communities, that compose it, every breach of the laws must involve a state of war; and military execution must become the only instrument of civil obedience. Such a state of things can certainly not deserve the name of government, nor would any prudent man choose to commit his happiness to it”.
Per comprendere le modalità attraverso le quali l’Unione europea si finanzia, e capire così quali interventi politico-istituzionali servono per creare le condizioni per un bilancio europeo adeguato, è necessario distinguere due aspetti:
- La procedura attraverso la quale sono decise le risorse delle quali l’Unione può disporre;
- La tipologia di risorse a disposizione dell’Unione europea.
In seguito alla crisi sistemica che in questi ultimi anni ha vissuto l’Unione europea è iniziato un vasto dibattito tra cittadini, accademici, politici nazionali ed europei sul futuro del processo di integrazione. Coloro che credono ancora nel progetto dell’Europa unita hanno ribadito l’esigenza di rifondare l’Unione attraverso una serie di riforme istituzionali e il lancio di nuove politiche comuni al fine di soddisfare le aspettative e le aspirazioni dei cittadini europei.
Tra le proposte di riforma avanzate finora, è necessario soffermarsi sul progetto di capacità fiscale data l’importanza strategica che esso può avere per il rilancio del processo di integrazione.
Scopo del presente contributo è quello di spiegare:
- cosa si intende per capacità fiscale;
- perché è così importante;
- la differenza rispetto ad altri progetti con i quali la capacità fiscale tende ad essere confusa;
- come potrebbe essere realizzata la capacità fiscale nel quadro di una riforma complessiva dell’Unione.