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Le atrocità del conflitto israelo-palestinese ci ricordano l'urgenza di dotarci di un governo europeo federale per poter agire sulla scena internazionale

 

All'indomani del brutale e barbaro attacco di sabato 7 ottobre perpetrato da Hamas ai danni di Israele abbiamo avuto la riunione telefonica tra Biden, Sunak, Macron, Scholz e Meloni ovvero i capi di Stato e di governo di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Italia. Nessun rappresentante dell'Unione Europea è stato invitato al colloquio. E' la rappresentazione plastica dell'irrilevanza europea in campo militare. Nessuno si è posto il famoso problema, attribuito a Henry Kissinger, di “chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?” perché quando si deve decidere di questioni di politica internazionale contano solo i governi dotati di una propria politica estera e di difesa.

A questo si aggiunge il balletto delle dichiarazioni contradditorie delle istituzioni europee. Basti menzionare il fatto, tra i tanti, che in meno di 24 ore sono passate dal blocco immediato degli aiuti all'Autorità Palestinese, annunciato lunedì 9 ottobre dal Commissario europeo per l'allargamento Olivér Várhelyi, all'aumento degli aiuti ai Palestinesi, pronunciato martedì 10 ottobre dall'Alto rappresentante dell'UE Josep Borrel.

Il risultato è che noi europei siamo irrilevanti quando esplodono conflitti e si deve mettere in campo una politica estera capace di incidere sugli equilibri di potere, per costruire condizioni di pacificazione e stabilità. Per questo, il contributo più grande che possiamo dare alla pace nel mondo è quello di dotarci di un vero governo comune in grado di agire in rappresentanza di tutti i cittadini europei, incluso nel campo della politica estera e di difesa; e anche di mostrare un modello alternativo, fondato sulla convivenza pacifica sotto istituzioni comuni sovranazionali, rispetto al nazionalismo e al fondamentalismo che alimentano l’odio e la violenza più cieca. La Conferenza sul futuro dell'Europa e il Parlamento europeo hanno dato indicazioni precise in tal senso: è ora di dare seguito e concretezza alla riforma del Trattato di Lisbona, e di avere questo riferimento preciso in mente quando si andrà a votare per il nuovo Parlamento europeo nel 2024.

Nel frattempo l'Unione Europea dovrà impegnarsi per favorire l’avvio di un processo di pace tra Israele e Palestina sotto l’egida delle Nazioni Unite, con l’obiettivo, anche se nel lungo periodo, di arrivare alla composizione dei conflitti tramite istituzioni condivise per la gestione dei beni comuni. Una possibile via ce la indica il giornalista israeliano Meron Rapoport uno dei promotori del movimento "Una terra per tutti" portato avanti da un gruppo di israeliani e palestinesi: "pur essendo due popoli con identità nazionali distinte, ebrei e palestinesi sono geograficamente legati. Entrambi i popoli considerano l’intera terra come la loro patria. Per gli ebrei, questa si estende tanto a Hebron in Cisgiordania quanto a Tel Aviv; per i palestinesi, a Jaffa quanto a Ramallah. Ciò che è necessario non è la separazione, ma l’uguaglianza e la partnership; l’uguaglianza individuale e nazionale tra tutti i residenti di questa terra – attraverso la fine dell’occupazione, dell’espropriazione e dei privilegi diseguali – e una reale partnership tra questi due gruppi. Esiste un modo per raggiungere questa uguaglianza e questa partnership: attraverso una confederazione israelo-palestinese, che implichi i seguenti principi: due stati indipendenti, Israele e Palestina, lungo i confini del 1967; una struttura federata con istituzioni condivise che governino i diritti umani, la sicurezza, l’economia e altre questioni di interesse reciproco; frontiere aperte e libertà di movimento per i cittadini di entrambi gli stati, che possono vivere ovunque vogliano; Gerusalemme città aperta, capitale di entrambi gli stati, sorvegliata da un governo municipale comune; restituzione di tutti i torti subiti in passato, senza crearne di nuovi.".

In questo momento drammatico, il MFE si unisce con forza alla condanna per il brutale attacco di Hamas, un vero e proprio crimine contro l'umanità. Al tempo stesso e ancor più davanti alla tragedia delle centinaia di morti dell'ospedale di Gaza, ricorda che Israele deve saper anche difendere la propria democrazia, come le ragioni delle manifestazioni antigovernative degli scorsi mesi stanno a dimostrare; e che pertanto il diritto all’autodifesa non può portare a calpestare brutalmente i principi sanciti dal diritto internazionale e a infliggere atroci sofferenze alla popolazione civile, spesso già vittima di un regime che non approva. Come ricordava il Presidente Mattarella in occasione del suo intervento per la Giornata mondiale dell’alimentazione “È un delitto trasformare cibo e acqua in strumenti di conflitto. Al contrario, cibo e acqua sono testimonianza della indivisibilità del destino dell'umanità”.

Auspichiamo pertanto che si riaprano la fornitura di acqua, cibo, medicinali e di corrente elettrica, e si lasci aperto un corridoio umanitario per i palestinesi di Gaza. Al tempo stesso tocca ad Hamas il primo passo di riconsegnare gli ostaggi prigionieri. Ieri, il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen ha condannato le atrocità di Hamas. Speriamo sia uno spiraglio per una distensione del conflitto prima che vengano commesse altre atrocità e che lo scontro armato possa allargarsi ad altri paesi con il rischio di portarci verso una Terza Guerra Mondiale. 

 

  


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