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Draghi torna a parlare in pubblico con un nuovo intervento molto atteso, dopo le vicende degli ultimi mesi che hanno mostrato l’enorme difficoltà dell’Unione europea nei nuovi tempi politici dominati dalla volontà di potenza dei grandi attori internazionali.

Il discorso di Mario Draghi a Rimini nella giornata di apertura del Meeting è, come sempre, articolato sulla base di una logica stringente ed è volutamente molto concreto. Parla innanzitutto ai governi che devono sia capire quanto sia dannoso continuare a pensare e ad agire in termini nazionali, sia cogliere l’urgenza di rafforzare le istituzioni con cui agire insieme come europei; e parla ai cittadini, parla alla società consapevole e impegnata, perché si mobiliti chiedendo passi concreti in direzione di una vera unità europea all’altezza delle sfide di oggi.
Volutamente, a latere del suo intervento, sottolinea come la visione federalista non sia il suo punto di partenza, ma lo sia piuttosto l’osservazione oggettiva dei fatti, la constatazione dell’insufficienza del modello attuale europeo e al tempo stesso dell’inadeguatezza degli Stati europei singolarmente; da qui la consapevolezza che serva l’unità politica dell’Europa per poter difendere gli interessi europei e valori in cui crediamo.
È un messaggio chiarissimo innanzitutto per tutte quelle forze che non hanno una tradizione europeista e che oggi si trovano a dover governare problemi che solo in un quadro europeo efficace diventano affrontabili; ed è un invito a capire che ormai, pragmaticamente, quell’unione politica sovranazionale da sempre rivendicata dai federalisti (mai menzionati, ma di fatto portati al centro del discorso attraverso l’europeismo concreto) è diventata una necessità per tutti.

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Il discorso di Draghi parte dall’osservazione che investe la nostra marginalità politica in questo nuovo quadro, in cui è diventato evidente che la dimensione economica da sola non assicura una qualche forma di potere geopolitico (“Per anni l'Unione Europea ha creduto che la dimensione economica, con 450 milioni di consumatori, portasse con sé potere geopolitico e nelle relazioni commerciali internazionali. Quest'anno sarà ricordato come l’anno in cui questa illusione è evaporata”.).
Questa debolezza politica dell’UE la penalizza anche in termini di consenso. Cresce “lo scetticismo” verso l’Europa, che però non riguarda tanto i valori che incarna (“democrazia, pace, libertà, indipendenza, sovranità, prosperità, equità”), quanto la sua capacità di difenderli.
Il punto, come ricorda Draghi è che “i modelli di organizzazione politica, specialmente quelli sopra-statuali, emergono in parte anche per risolvere i problemi del loro tempo. Quando questi cambiano tanto da rendere fragile e vulnerabile l'organizzazione preesistente, questa deve cambiare”. Per questo, la sfida di cambiare il proprio modello è la priorità per l’Europa oggi. Dopo l’avvio del progetto di unificazione (fondato sulla volontà di superare i nazionalismi e di garantire la pace in Europa all’indomani della Seconda Guerra mondiale), l’Europa “si è poi evoluta di nuovo negli anni dopo la guerra adattandosi gradualmente alla fase neoliberale tra il 1980 e i primi anni del 2000. Questo periodo fu caratterizzato dalla fede nel libero scambio e nell'apertura dei mercati, da una condivisione del rispetto delle regole multilaterali e da una consapevole riduzione del potere degli Stati che attribuivano compiti e autonomia ad agenzie indipendenti. L'Europa ha prosperato in quel mondo: ha trasformato il proprio mercato comune nel mercato unico, è diventata attore fondamentale nell’Organizzazione Mondiale del Commercio e ha creato autorità indipendenti per la concorrenza e la politica monetaria. Ma quel mondo è finito e molte delle sue caratteristiche sono state cancellate. Mentre prima ci si affidava ai mercati per la direzione dell'economia oggi ci sono politiche industriali di grande respiro. Mentre prima c'era il rispetto delle regole oggi c'è l'uso della forza militare e della potenza economica per proteggere gli interessi nazionali. Mentre prima lo Stato vedeva ridursi suoi poteri, tutti gli strumenti sono oggi impiegati in nome del governo dello Stato. L'Europa è poco attrezzata in un mondo dove geo-economia, sicurezza e stabilità delle fonti di approvvigionamento più che non l’efficienza ispirano le relazioni commerciali internazionali. La nostra organizzazione politica deve adattarsi alle esigenze del suo tempo quando esse sono esistenziali: noi europei dobbiamo arrivare a un consenso su ciò che questo comporta. È chiaro che distruggere l'integrazione europea per tornare alla sovranità nazionale non farebbe altro che esporci ancor di più al volere delle grandi potenze”.
La direzione da imboccare è quindi chiarissima: “Per affrontare le sfide di oggi, l’Unione europea deve trasformarsi da spettatore o al più comprimario in attore protagonista. Deve mutare anche la sua organizzazione politica che è inseparabile dalla sua capacità di raggiungere i suoi obiettivi economici e strategici”.
Draghi è convinto a questo proposito che “le riforme in campo economico restano condizione necessaria in questo percorso di consapevolezza. Dopo quasi ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, la difesa collettiva della democrazia è data per scontata da generazioni che non hanno il ricordo di quel tempo. La loro convinta adesione alla costruzione politica europea dipende anche, in misura importante, dalla sua capacità di offrire ai cittadini prospettive per il futuro quindi anche dalla crescita economica che in Europa è stata negli ultimi trent'anni ben più bassa che nel resto del mondo”.
I governi, ricorda Draghi, possono agire subito, per completare il Mercato unico rimasto fermo a causa delle barriere a difesa delle industrie nazionali; barriere che penalizzano fortemente lo sviluppo dei settori di avanguardia, a partire proprio da quello, cruciale, tecnologico; e decidendo di fare “buon debito comune” per sostenere gli ingenti investimenti comuni indispensabili per recuperare il terreno perduto. “I governi … devono ritrovare unità di azione, e non dovranno farlo quando le circostanze saranno divenute insostenibili, ma ora quando abbiamo ancora il potere di disegnare il nostro futuro”. Per questo serve individuare gli interessi comuni e gli obiettivi da condividere a tal fine “I governi devono definire su quali settori impostare la politica industriale. Devono rimuovere le barriere non necessarie e rivedere la struttura dei permessi nel campo dell'energia. Devono mettersi d'accordo su come finanziare i giganteschi investimenti necessari in futuro, stimati in circa 1.2 trilioni di euro all’anno. E devono disegnare una politica commerciale adatta a un mondo che sta abbandonando le regole multilaterali. Per raggiungere questi obiettivi l’Unione europea dovrà muoversi verso nuove forme di integrazione”.
Il suo appello, però, non è rivolto solo alla politica, ma anche ai cittadini, ai tanti giovani che partecipano al Meeting e lo applaudono convinti: “Possiamo cambiare la traiettoria del nostro continente. Trasformate il vostro scetticismo in azione, fate sentire la vostra voce. L'Unione Europea è soprattutto un meccanismo per raggiungere gli obiettivi condivisi dai suoi cittadini. È la nostra migliore opportunità per un futuro di pace, sicurezza, indipendenza: è una democrazia e siamo noi, voi, i suoi cittadini, gli europei che decidono le sue priorità”.

L’appello di Draghi conferma esattamente il messaggio del MFE. È il momento di fare un passo decisivo: non basta un mercato comune, non basta la cooperazione tra governi. Serve un’Unione politica capace di parlare con una sola voce.

È tempo di fare gli Stati Uniti d’Europa.

 

  


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