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Eris, dea greca della discordia

In questi mesi attraversati da tensioni drammatiche – con la guerra siriana tragicamente in primo piano, la preoccupazione per il possibile avvio di una guerra commerciale, la cronaca che ci racconta la fragilità delle nostre democrazie sfidate dall’uso distorto della rete e dei social media – l’Europa continua a brillare per le sue divisioni e per la sua impotenza.

A quasi vent’anni dalla nascita dell’Euro, i governi nazionali non sono ancora stati capaci di sciogliere il nodo del completamento dell’Unione monetaria, attraverso l’unione economica, fiscale, politica; questa impasse sta mettendo a repentaglio la tenuta stessa dell’Unione europea, come abbiamo avuto tante volte modo di spiegare nelle nostre analisi e nei nostri documenti politici. Anche in queste settimane, a fronte dell’apertura della Francia in questo senso, per fare dell’Eurozona una potenza economica globale e costruire un’Europa sovrana unita e democratica, la reazione dei partner è stata di sostanziale chiusura, dal partito della Cancelliera Merkel (la CDU/CSU) in Germania, ai piccoli paesi del Nord – che, sotto la guida olandese, fanno muro contro l’introduzione di riforme nell’eurozona che portino a maggiore condivisione dei rischi e a maggiore solidarietà, e soprattutto che facciano evolvere l’eurozona verso un’unione politica –, al Gruppo di Visegrad, i paesi nazionalisti attratti dal modello “illiberale”, rafforzato proprio nei giorni scorsi dalla schiacciante vittoria di Orban in Ungheria, per la terza volta consecutiva. Gli stessi partiti europei nel Parlamento europeo, invece di avanzare proposte coraggiose per la riforma dell’Unione europea in senso federale, finiscono con lo scontrarsi su riforme importanti in vista delle prossime elezioni europee, strumentalizzando per scopi partitici le proposte per le liste transnazionali e per gli Spitzenkandidaten (riforme entrambe originariamente pensate come bipartisan per rafforzare la dimensioni europea del dibattito politico durante la campagna elettorale del 2019); e la Commissione europea appare sempre più divisa al proprio interno lungo la linea dello scontro Nord-Sud Europa, e PPE (Partito popolare europeo di centro-destra) contro il centro e la sinistra, in particolare contro il PSE.

In questo quadro diventa particolarmente grave anche il segnale che viene dall’Italia con i risultati delle elezioni del 4 marzo, che hanno espresso la volontà degli italiani di cambiare linea rispetto agli ultimi governi e hanno gravemente accresciuto l’incertezza del quadro politico. E’ un segnale che pesa anche sui negoziati, che già dicevamo essere estremamente delicati, in corso tra Francia e Germania, in particolare per la riforma dell’Eurozona. Come MFE abbiamo rivolto un appello ai due governi perché abbiano il coraggio di trovare l’accordo su proposte ambiziose, assolutamente indispensabili oggi per salvare il progetto europeo (cliccare qui). Sicuramente le divisioni proprio di questi giorni sulla politica internazionale non aiutano a rafforzare la volontà di arrivare a definire forti obiettivi comuni.

Ancora una volta, dunque, rischia di potersi richiudere la finestra di opportunità che si era aperta con le proposte francesi per attuare un cambio di passo in Europa; un cambio indispensabile per dare ai cittadini risposte concrete e protezione rispetto alle sfide che investono il lavoro, la sicurezza, i temi sociali. Il prezzo che pagheremmo come europei e che pagherebbe il mondo, in termini di democrazia e di pace, sarebbe altissimo se l’Unione europea fosse nuovamente scossa da una crisi esistenziale. Per questo il MFE continua la sua battaglia per un’Italia europea e per un’Europa sovrana (come chiede la mozione del Comitato centrale del MFE riunitosi il 7 aprile, cliccare qui) con la Campagna per un’Europa federale. L’Europa federale è la sola possibilità, in questo pericolosissimo quadro internazionale sempre più instabile, di invertire la rotta e di tentare di costruire un sistema cooperativo in grado di garantire un governo pacifico della globalizzazione e la fine dei conflitti che insanguinano le regioni del Medio Oriente.

 

  


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