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E' tempo di fare gli Stati Uniti d'Europa

Europa federale o Europa delle nazioni?

La vera posta in gioco in questa nuova legislatura

Composizione del nuovo PE

Anche se a prima vista i risultati delle elezioni europee non cambiano molto i numeri della maggioranza uscente all’interno del Parlamento europeo – e confermano l’impossibilità di maggioranze alternative – è innegabile che il voto che si è appena concluso abbia rappresentato un vero e proprio terremoto negli equilibri politici.

I federalisti europei saranno presenti all’insediamento del Parlamento europeo con alcune iniziative e una manifestazione.
Stiamo organizzando per il 18 e 19 luglio la partecipazione del MFE a questa importante iniziativa.

Qui trovate il programma e le informazioni per partecipare →

È tempo di fare gli Stati Uniti d'Europa

L'urgenza di riformare gli attuali Trattati

La campagna sui canali video e sui social media

Canali video e social

  • Focus Europa su Twitch.tv
  • Dibattiti ed eventi
  • "EU Treaty Reform" made simple

Dichiarazione d'impegno dei candidati

Dichiarazione d'impegno dei candidati

  • Elenco degli eletti che hanno sottoscritto la dichiarazione 
  • Firmatari suddivisi per circoscrizione e partito
  • Testo (scaricabile) della dichiarazione
  • Volantini

L'Europa federale nei programmi dei partiti

L'europa federale nei programmi dei partiti

QUALE FUTURO PER L'EUROPA?
La scelta è nelle tue mani

Calendario degli eventi

Calendario degli incontri con i candidati

  • Incontri con i candidati
  • altri eventi della campagna

Memorandum dei federalisti europei

Memorandum dei federalisti europei →

• Le riforme di cui l’Unione Europea ha bisogno
• Come rivedere i Trattati: la necessità di una Convenzione

Documenti per la campagna

Manifesto dell'UEF →

per un'Europa federale. L'urgenza di superare gli attuali trattati.

Quaderni per la riforma dei Trattati →

Documenti di analisi sui temi della campagna.

Le azioni dei federalisti

Nei giorni che hanno preceduto le elezioni europee, i federalisti europei si sono mobilitati per diffondere la consapevolezza della necessità della riforma federale dell'UE tra i cittadini, gli esponenti politici, gli Enti locali, le associazioni di categoria e di volontariato.

L'MFE al Salone Internazionale del Libro di Torino
Assemblee dei cittadini e appelli degli Enti locali
L'azione nel parlamento italiano

Altri progetti

Corso IUSI
Lettera Europea
La bicicletta europea
Progetto panchine europee

ASSOCIAZIONI COLLEGATE

Union of European Federalists
Gioventù Federalista Europea
Young European Federalists
World Federalist Movement / Istitute for Global Policy
Movimento Europeo - Italia
Associazione Europea degli Insegnanti (AEDE)

Associazioni / iniziative alle quali l'MFE aderisce

 
Campain for a United Nations Parlamentary Assembly
We the People
Rete italiana Pace e Disarmo
Fermiamo la sete del Pianeta
 

Come si legge nella Memorie di Jean Monnet, all’inizio degli anni ‘50, a pochi anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, vi era un sentimento diffuso che una nuova guerra in Europa sarebbe stata inevitabile, e gli interessi divergenti degli Stati europei rendevano questo rischio reale. Appena superata la devastazione del conflitto bellico, e nonostante la lezione che avrebbero dovuto trarne, gli europei, prigionieri dei vecchi schemi, si apprestavano a tornare alla contrapposizione tra Stati nazionali. Occorreva dunque trovare una soluzione che invertisse la logica, fino allora imperante, di una negoziazione condotta da ogni Stato con l’obiettivo di trarne dei vantaggi per sé, e che facesse emergere un interesse comune.
È con questo spirito che Jean Monnet, consapevole della drammaticità del momento e al tempo stesso della portata politica che un cambio di prospettiva di questo tipo avrebbe comportato, concepisce il progetto di Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio che poi sarà fatto proprio da Schuman. Il progetto era chiaro: il carbone e l’acciaio erano al tempo stesso la base della potenza economica e di quella bellica, e assumevano dunque un forte valore simbolico; inoltre, la loro produzione era concentrata principalmente in Francia e in Germania, fattore questo che rendeva la loro gestione comune l’immagine stessa del riavvicinamento tra due Stati che si erano combattuti. Si trattava di un settore cruciale, ma ben definito, e il progetto di gestire tali risorse in comune aveva, come si leggeva nelle stesse Conclusioni del progetto iniziale, una portata politica: aprire nelle sovranità nazionali una breccia sufficientemente limitata perché potesse essere accettata dagli Stati, ma sufficientemente profonda da portare gli Stati all’unità necessaria per garantire la pace.
Una cosa colpisce più di altre nelle memorie di Monnet relative a quel periodo: la consapevolezza della portata rivoluzionaria del progetto – un vero salto nel buio – e la tenacia nel difenderne tale natura contro i numerosi tentativi, durante le negoziazioni, di svuotarlo del suo elemento essenziale: l’indipendenza della C.E.C.A., e in particolare dell’Alta Autorità, dagli Stati membri.
Si trattava di un’indipendenza fondata su una caratteristica unica nel panorama delle organizzazioni internazionali: l’autonomia finanziaria della CECA, fondata sulla capacità dell’Alta Autorità (l’organo oggi corrispondente alla Commissione europea) di procurarsi i fondi necessari per l’espletamento dei suoi compiti stabilendo prelievi sulla produzione di carbone e di acciaio e contraendo prestiti (questi ultimi utilizzabili solo per concedere prestiti alle imprese).
A differenza di quanto accade oggi nell’Unione europea, i prelievi non passavano per i bilanci degli Stati membri, bensì erano versati direttamente dalle imprese su conti aperti a nome dell’Alta Autorità. La CECA dunque era dotata di una Tesoreria centralizzata, e disponeva degli strumenti necessari per ottenere il pagamento dei prelievi nel caso di mancato pagamento. Poteva infatti applicare maggiorazioni fino al 5% per il ritardo nel pagamento e le sue decisioni che comportavano obblighi pecuniari costituivano titolo esecutivo (previa una mera verifica di autenticità da parte delle autorità degli Stati membri).
Pur avendo tale potere fiscale il limite di non poter superare la percentuale dell’1%, le modalità di applicazione dei prelievi e di riscossione degli stessi erano decisi dall’Alta autorità, e il limite dell’1% poteva essere superato dietro autorizzazione del Consiglio che decideva a maggioranza del 2/3   (e   dunque   non   all’unanimità) [1].   Con   il   limite   di   non   comportare   un  coinvolgimento dell’Assemblea (che nella CECA non rivestiva un ruolo rilevante, dal momento che l’istituzione sulla quale ruotava tutto il suo funzionamento era l’Alta Autorità), il Trattato CECA dava vita dunque a vere e proprie tasse europee, relative unicamente a un settore ben delimitato, quello della produzione del carbone e dell’acciaio, ma che consentivano all’Organizzazione di finanziarsi indipendentemente dagli Stati.

Il parallelismo con la situazione che stanno vivendo oggi l’Europa e il processo di integrazione è molto evidente. La crisi sanitaria di quest’ultimo mese, innestatasi su meccanismi di funzionamento dell’Unione che avevano già palesato ampiamente i propri limiti (basti pensare al fallimento dei tentativi di approvare il Quadro Finanziario Pluriennale), ha mostrato con evidenza la tentazione di far prevalere la logica degli egoismi nazionali. È evidente dalle reazioni iniziali che se la crisi avesse colpito solo alcuni tra i Paesi europei – se dunque non si fosse dimostrata rapidamente un drammatico shock simmetrico – sarebbe perdurata l’impossibilità di concepire forme di solidarietà tra Stati sovrani, che per definizione perseguono ciascuno il proprio interesse (oltretutto sempre più centrato sul presente in questa fase di crisi generalizzata della politica democratica). Se l’aggravarsi della crisi sta dunque convincendo anche i Paesi “frugali” a concertare misure di aiuto degli Stati in difficoltà e di sostegno alle economie più deboli, non va dimenticato che tali meccanismi rimangono nella logica della cooperazione tra Stati sovrani, dove gli Stati più “virtuosi” e con maggiore solidità finanziaria dovranno fornire un sostegno straordinario e garantire per i Paesi più fragili in quanto soggetti alle limitazioni della sostenibilità del loro stesso debito sovrano. Così come, dunque, finita la seconda guerra mondiale, le divergenze tra gli Stati europei facevano presagire lo scoppio di una nuova guerra, allo stesso modo, quando la crisi sanitaria sarà superata, si ripresenteranno, e con ancora più forza, le stesse contrapposizioni tra Stati che hanno caratterizzato gli ultimi anni.

L’esperienza della CECA ci insegna che la soluzione della crisi, che al di là dell’emergenza sanitaria ed economica è prima di tutto una crisi politica, non può essere trovata in strumenti che rispondono alle logiche seguite finora, e che occorre un progetto dalla forte valenza politica che sia in grado di capovolgere il rapporto tra Stati membri e Unione rendendo quest’ultima autonoma e capace di agire nella sua sfera di competenza. Un progetto che, se pur inizialmente limitato a certi settori o a certe risorse, sia in grado di aprire una breccia nella sovranità nazionale che porti al prevalere dell’interesse comune sugli interessi dei singoli Stati.
Questa soluzione, come ci insegna la CECA, consiste nell’attribuzione di un potere fiscale all’Unione. Sul modello della CECA, l’esercizio di questa competenza, limitata inizialmente a poche risorse, dovrebbe essere affidato alle istituzioni politiche dell’Unione. In particolare, mentre al Parlamento e al Consiglio, che deciderebbe a maggioranza qualificata, sarebbe affidato il compito di stabilire la tipologia di imposte e di fissare un tetto massimo delle stesse, alla Commissione spetterebbe il compito di definire le modalità di applicazione e di riscossione delle risorse, che sarebbero versate direttamente al bilancio dell’Unione, senza passare dagli Stati membri.
Le risorse potrebbero essere legate a “beni pubblici europei”, come l’ambiente, e quindi consistere inizialmente in imposte quali la border carbon tax, nella prospettiva dell’attribuzione di nuove risorse in futuro.
È una soluzione che non può fondarsi sui trattati esistenti, che non attribuiscono capacità fiscale all’Unione, e che, essendo la competenza fiscale una competenza tuttora nelle mani degli Stati membri, implicherebbe una modifica degli stessi volta al trasferimento di questa competenza al livello sovranazionale.
È inutile nascondersi che si tratta di un passaggio difficile, perché comporterebbe un passo decisivo verso il trasferimento della sovranità al livello europeo, ma, l’opportunità che offre questa crisi è quella di colpire in modo drammatico tutti gli Stati dell’Unione europea, costringendo ad aperture prima impensabili. Come scriveva Jean Monnet, “les problèmes concrets, je le sais par expérience, ne sont jamais insolubles à partir du moment où ils sont abordés du point de vue d’une grande idée”.


[1] Secondo l’art. 95, par. 3, del Trattato CECA, in circostanze eccezionali consistenti in impreviste difficoltà nelle modalità di applicazione del Trattato o in un cambiamento profondo delle condizioni economiche o tecniche che interessi direttamente il mercato comune del carbone e dell’acciaio, l’Alta Autorità e il Consiglio potevano adattare alle circostanze le regole relative all’esercizio da parte dell’Alta Autorità dei propri poteri. Secondo la dottrina (Potteau),  in  queste  circostanze  era  pensabile  che  l’Alta Autorità  potesse  procurarsi  mezzi  di  finanziamento supplementari rispetto a quelli previsti dal Trattato, ricorrendo ad esempio al prestito, strumento normalmente consentito solo per concedere prestiti alle imprese e non ai fini del finanziamento dell’organizzazione.


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