- Scritto da Paolo Ponzano, Giulia Rossolillo, Salvatore Aloisio, Luca Lionello
INTRODUZIONE
L’unità europea come la conosciamo dal 1951 è stata edificata sulle ceneri della Seconda Guerra Mondiale, il conflitto più devastante nella storia dell’umanità. A distanza di ottant’anni, la guerra è tornata ad affliggere il nostro continente e si sta avvicinando sempre più pericolosamente ai confini dell’Unione europea. Il tentativo di Putin di sfruttare le divisioni dei 27 Stati membri è tuttavia fallito, riconfermando il senso di appartenenza e di unità già emerso durante la pandemia. Se da un lato, la nuova Unione “geopolitica” dev‘essere motivo di soddisfazione per le forze europeiste d’altro lato, questo momento di coesione politica senza precedenti non deve essere motivo di immobilismo politico, né di miope accettazione dei limiti che i trattati - nella loro forma attuale - impongono all'affermazione di una vera politica transnazionale.. Al contrario, la capacità di azione dell’Unione, limitata dall’attribuzione delle competenze, nonché dai numerosi ambiti per i quali è ancora richiesto il voto all’unanimità, deve portarci ad insistere ulteriormente per la creazione di un’Europa sovrana e democratica. Soprattutto, è necessario superare la concezione della democrazia come un monopolio nazionale rinchiuso all’interno dei confini dei Ventisette.
La sopravvivenza stessa degli Stati nazionali, ormai incapaci di garantire i loro stessi interessi vitali di fronte ad un mondo di “imperi”, dalla Russia alla Cina, dipende dalla riuscita di questo progetto transnazionale. Le maggiori sfide globali a cui siamo confrontati su base quotidiana, come il cambiamento climatico, la transizione digitale e la salvaguardia del multilateralismo, hanno infatti un carattere transnazionale e sono dunque immuni alle azioni unilaterali delle singole nazioni, la cui capacità di influenza è diminuita drasticamente. Allo stesso tempo, l’attribuzione di nuove competenze all’Unione non deve assolutamente prescindere dalla creazione di un vero e proprio spazio politico europeo, grazie alla progressiva affermazione di soggetti politici e civici transnazionali come protagonisti principali di elezioni e dibattiti finalmente europei.
Oggi l’UE non può ancora dirsi pienamente democratica, né potenza, tantomeno sovrana. Questa è stata inoltre una delle principali conclusioni della Conferenza sul Futuro dell’Europa, che si è chiusa il 9 maggio 2022, in cui i cittadini che vi hanno partecipato hanno chiesto alla politica europea e nazionale di rendere l’Unione più sociale, più verde, ma soprattutto più democratica e attenta alle richieste dei propri cittadini. Un tale appello non può e non deve cadere nel vuoto. Il Parlamento europeo, tenendo fede al proprio impegno, ha immediatamente approvato la riforma sulla legge elettorale che introduce le liste transnazionali e una risoluzione che avvia la procedura di revisione dei Trattati ai sensi dell'Articolo 48 del Trattato sull’Unione europea, chiedendo al Consiglio europeo di convocare al più presto una Convenzione. Le idee e proposte di questo “federalist paper” possono contribuire in maniera concreta e costruttiva alla democratizzazione dell’UE in vista dell’imminente processo di riforma europea.
Vogliamo, perché la riteniamo ormai indispensabile, un’Unione federale, sovrana e democratica, per difendere i valori e i principi di pace, il multilateralismo e la cooperazione tra paesi liberi e sovrani; per difendere i valori, gli interessi e le identità nazionali e locali; pronta anche ad agire come potenza sulla scena globale per gestire in modo più efficace problemi e sfide su cui gli stati nazionali hanno ormai perso il controllo.
Di Sandro Gozi, Parlamentare europeo (Renew Europe), Presidente UEF
PRESENTAZIONE DELLE PROPOSTE DI RIFORMA DEI TRATTATI
Nel testo che segue sono formulate alcune proposte di riforma dei Trattati volte a modificare le competenze dell’Unione e la sua architettura istituzionale in senso federale per dar vita a un’unione politica. L’idea di fondo è che sia necessario introdurre immediatamente alcune modifiche sostanziali che inneschino un mutamento di natura dell’Unione e che conducano, dopo un periodo transitorio, al consolidamento di una piena unione federale.
La situazione politica impone un’accelerazione al processo di riforma dell’UE. La necessità di far fronte alle gravissime crisi della pandemia e della guerra in Ucraina ha favorito la convergenza degli interessi degli Stati europei e portato a un’unità di intenti fino a poco fa impensabile, che ha permesso di sfruttare gli strumenti esistenti senza modificare in modo strutturale il funzionamento dell’Unione. Sappiamo però che nel tempo, e anche nella durezza della sfida che ci attende, per poter agire efficacemente e in modo unitario è necessario superare gli attuali meccanismi confederali sui quali si fonda l’Unione. La capacità di azione a livello europeo resta oggi subordinata al raggiungimento di un accordo tra i governi dei Paesi membri, e l’esperienza ci dimostra che troppo spesso accade che emergano divergenze tra gli interessi nazionali immediati e che l’Unione resti paralizzata. Per questo, è necessario dare vita a un’unione federale in grado di autodeterminare la propria condotta nella sua sfera di competenza.
Per riprendere le parole di Jean Monnet, è venuto il momento di affidare l'elaborazione e la difesa dell’interesse europeo ad Istituzioni sovranazionali indipendenti, sottraendo il compito alle Amministrazioni nazionali, che non possono avere come obiettivo l’interesse generale, ma solo ricercare accordi tra interessi nazionali contrastanti o comunque diversi.
* Una prima serie di modifiche riguarda le competenze dell’Unione e i poteri del Parlamento europeo.
In primo luogo, si prevede in alcuni settori (come la politica industriale, la politica economica, la sanità pubblica) di competenza degli Stati membri e nei quali l’Unione ha una semplice competenza di coordinamento e di sostegno, che sia rafforzata la competenza dell’Unione in modo da consentirle di sviluppare vere e proprie politiche a livello sovranazionale.
Nel quadro del rafforzamento delle competenze dell’Unione una posizione particolare è rivestita dalla competenza fiscale, della quale l’Unione è priva, con conseguente impossibilità di reperire le risorse per attuare le proprie politiche indipendentemente dagli Stati membri. È necessario dunque prevedere, parallelamente alla potestà fiscale degli Stati membri nella loro sfera di competenza, che l’Unione possa stabilire e percepire imposte dirette e indirette. Parallelamente (v. modifiche relative alle disposizioni istituzionali) il Parlamento europeo, futura Camera bassa dell’Unione, deve disporre di piena capacità di intervento non solo sulle spese, ma anche sulle entrate dell’Unione.
Sempre per quanto riguarda i poteri del Parlamento europeo, si stabilisce che sia coinvolto pienamente in tutti i processi decisionali delle diverse politiche dell’UE. A questo scopo, è necessario estendere la procedura legislative ordinaria a quei campi cui si applica ancora la procedura legislative speciale (in base alla quale il Consiglio dei ministri è il solo legislatore, previo semplice parere del Parlamento). L’introduzione della procedura legislativa ordinaria contribuirà a superare il voto all’unanimità nel Consiglio a beneficio del voto a maggioranza qualificata. Tali proposte di modifica riguardano in particolare otto politiche dell’Unione (vedere testo).
* Una seconda serie di modifiche proposte riguarda la politica estera e la politica di sicurezza e difesa comune dell’Unione al fine di dotare quest’ultima di una sua “autonomia strategica”. Il TUE prevede l’applicazione a tali settori di meccanismi di carattere puramente intergovernativo, che escludono la partecipazione del Parlamento europeo e si fondano sul consenso unanime degli Stati; si tratta dunque di settori nei quali l’integrazione è meno avanzata rispetto ad altre aree di competenza dell’Unione, e per questo si è previsto un periodo transitorio al termine del quale il potere decisionale dovrebbe essere attribuito al nuovo governo europeo sottoposto al controllo da parte del nuovo Parlamento bicamerale.
Durante il periodo transitorio le decisioni in materia di politica estera e di difesa continuerebbero ad essere adottate dal Consiglio europeo, e dunque secondo il metodo intergovernativo, ma a maggioranza qualificata.
* Una terza serie di modifiche proposte riguarda disposizioni di carattere istituzionale della nuova Unione federale:
- Come già richiesto dai cittadini europei nei panels della Conferenza sul futuro dell’Europa, occorre dotare il Parlamento europeo di un potere generale di iniziativa legislativa per proporre, modificare o abrogare le norme legislative, o per richiedere la presentazione di una proposta legislativa alla Commissione Europea. L’introduzione di questo diritto servirà anche a rinforzare il follow-up della procedura dell’Iniziativa dei Cittadini Europei inoltrate da un milione di cittadini di alemno sette Paesi membri.
- Il documento indica poi quali dovrebbero essere le riforme necessarie alla trasformazione della Commissione in un vero governo europeo. Anche in questa ipotesi si è previsto un periodo transitorio, anche per dare il tempo di sviluppare il confronto sui nuovi equilibri da instaurare tra le Istituzioni attuali e il nuovo governo europeo destinato a rimpiazzarle (in particolare, ma non solo, le condizioni della fiducia politica). Durante il periodo transitorio, il Presidente della Commissione sarebbe sempre designato, come oggi, dal Consiglio europeo, ma con un rafforzamento del sistema degli Spitzenkandidaten e l’introduzione di liste transnazionali. Quanto alla designazione dei Commissari, rispetto al sistema attuale che nella scelta dei Commissari attribuisce un ruolo cruciale ai governi degli Stati membri, questi sarebbero designati dal Consiglio europeo su proposta del Presidente della Commissione. Alla scadenza del periodo transitorio, si può già prevedere che debba spettare al Presidente scegliere direttamente i membri del nuovo governo europeo.
- Il Consiglio viene trasformato nella Camera alta del Parlamento della nuova Unione. Anche per la creazione di un Senato o Camera degli Stati ci si è orientati su un sistema analogo a quello in vigore in Germania nel Bundesrat piuttosto che al sistema in vigore negli Stati Uniti. Naturalmente gli esempi numerici indicati per la composizione tanto della Camera bassa che del Senato degli Stati sono puramente indicativi.
- il Consiglio europeo, a titolo transitorio, eserciterà la Presidenza dell’Unione e avrà alcuni compiti, i più rilevanti dei quali attengono alla politica estera e di sicurezza e difesa.
- Vengono modificate le disposizioni relative al finanziamento dell’Unione per consentire alla stessa di contrarre prestiti e di stabilire le proprie entrate in modo indipendente dagli Stati e con la piena partecipazione del Parlamento. Anche in questa ipotesi è prevista l’eventualità che durante un periodo transitorio questo meccanismo si applichi solo, come avveniva nella CECA, entro il tetto di una percentuale massima.
- Per concludere si è previsto che la revisione del futuro trattato Costituzionale abbia luogo secondo una procedura maggioritaria sia in seno al nuovo Parlamento bicamerale sia per quanto concerne le ratifiche degli Stati membri.
PROPOSTE DI RIFORMA DEI TRATTATI:
Competenze della nuova Unione federale.
Una prima modifica del Trattato di Lisbona riguarda la definizione delle competenze dell'Unione europea presente negli articoli 2, 4, 5 e 6 del Trattato sul funzionamento dell'UE (TFUE). La nuova Unione federale deve disporre della competenza di prendere decisioni di natura legislativa nel campo della politica economica e della politica industriale. In alcuni casi, tali decisioni richiederanno l'applicazione della procedura legislativa ordinaria. Inoltre, la politica della sanità pubblica deve diventare integralmente una competenza concorrente dell'Unione federale. A tal fine, occorrerà modificare l'articolo 2, par. 3 nonché gli articoli. 4, 5 e 6 del TFUE.
Rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo
- Spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
Tutti gli atti giuridici previsti dal titolo V del Trattato di Lisbona devono essere adottati sulla base di una proposta della Commissione europea (o governo dell’Unione) e non più su iniziativa di un quarto degli Stati membri. A tal fine, occorre sopprimere l’articolo 76 del TFUE. Inoltre, tutte le decisioni legislative previste dal titolo V del Trattato (in particolare per la cooperazione giudiziaria in materia penale, il diritto di famiglia e la cooperazione di polizia) devono essere adottate sulla base della procedura legislativa ordinaria e non più secondo la procedura legislativa speciale. Infine, occorre sopprimere il par. 5 dell’art. 79 del TFUE secondo cui spetta agli Stati membri determinare le quote di ingresso dei cittadini migranti sul loro territorio.
- Disposizioni fiscali.
Il Parlamento europeo - futura “Camera bassa“ del Parlamento della nuova Unione federale - dovrebbe disporre di una stessa capacità di intervento legislativo per le entrate come per le spese. Per permettere alla nuova Unione federale di adempiere ai compiti che le sono affidati, essa ha il diritto di stabilire e di percepire imposte dirette e indirette e/o partecipazioni al gettito di imposte dirette o indirette nazionali, di fare prestiti, di acquistare, possedere e vendere beni mobili e immobili nel territorio degli Stati membri. Il diritto degli Stati membri di stabilire e percepire imposte dirette o indirette non è limitato in alcun modo dalla precedente disposizione.
- Politica economica.
Occorre modificare le disposizioni (artt. 119, 120 e 121 TFUE) che affidano agli Stati membri il coordinamento delle loro politiche economiche a profitto di una competenza legislativa attribuita all’Unione europea. Di conseguenza, le decisioni legislative dell’UE sull’assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà di cui all’art. 122 TFUE vanno prese secondo la procedura legislativa ordinaria. Lo stesso vale per le decisioni di cui all’art. 126 relative ai deficit eccessivi e all’art. 136 per quanto riguarda gli orientamenti di politica economica dei paesi della zona Euro. Inoltre, occorre modificare l’art. 125 TFUE al fine di permettere la creazione di strumenti finanziari analoghi al “Recovery Plan/Next Generation EU” che prevedano la formazione di un “debito comune” europeo finanziato da risorse proprie dell’Unione europea.
- Occupazione.
Gli orientamenti di politica occupazionale di cui all’art. 148 TFUE dovrebbero essere considerati di competenza concorrente della nuova Unione federale e, pertanto, dovrebbero essere definiti dall’autorità legislativa come gli orientamenti di politica economica.
- Politica sociale.
Occorre generalizzare la procedura legislativa ordinaria e, pertanto, il voto a maggioranza qualificata all’insieme delle misure di politica sociale previste dall’art. 153 TFUE. Lo stesso vale
per gli accordi conclusi dalle parti sociali ai sensi dell’art. 155 TFUE. Inoltre, occorre modificare il par. 5 dell’art. 153 al fine di permettere senza contestazioni l’adozione da parte della nuova Unione federale di misure relative al salario minimo e al reddito minimo europeo.
- Politica industriale.
Le disposizioni del Trattato relative all’industria (art. 173 TFUE) vanno modificate al fine di promuovere una vera e propria politica industriale della nuova Unione federale che le permetta di sviluppare una capacità strategica autonoma (ad esempio, misure relative ai semi-conduttori, agli armamenti e all’intelligenza artificiale). Le misure di natura legislativa andrebbero adottate secondo la procedura legislativa ordinaria.
- Politica ambientale e dell’energia.
Occorre modificare l’art. 192, par. 2 TFUE che permette di derogare alla procedura legislativa ordinaria per l’adozione di alcune misure di politica ambientale, fra cui quelle di natura fiscale. Inoltre, andrebbero inserite nel nuovo Trattato tutte le misure necessarie all’applicazione del New Green Deal, da adottare con procedura legislativa ordinaria. Infine, occorre sottoporre alla procedura legislativa ordinaria le misure fiscali necessarie alla realizzazione degli obiettivi di politica energetica dell’Unione di cui all’art. 194 TFUE.
Disposizioni in materia di politica estera e di difesa
- Politica estera dell’Unione.
Occorre modificare il titolo V del TUE (Trattato sull’Unione europea) e, in particolare, il suo art. 21, par. 2, per rendere possibile lo sviluppo di una vera e propria azione esterna dell’Unione federale e, in particolare, di consentire alla nuova Unione di applicare una sua capacità strategica autonoma nei riguardi dei paesi terzi. Tutte le misure previste a tal fine, compresa la creazione di un’Agenzia europea per la gestione degli armamenti, dovrebbero essere prese, durante un periodo transitorio, dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata (con una forma di partecipazione del Parlamento europeo) per arrivare, alla scadenza del periodo transitorio, ad attribuire il potere decisionale al nuovo “governo europeo” sotto il controllo politico dell’organo legislativo della nuova Unione. Quest’ultimo avrà soltanto un ruolo di indirizzo e di controllo, all’esclusione dell’adozione di atti giuridicamente vincolanti.
- Politica di sicurezza e di difesa comune.
Allo stesso modo, vanno modificate le disposizioni del TUE (artt. 42-46) relative alla politica di sicurezza e di difesa comune. Le nuove disposizioni relative alla politica comune di sicurezza e di difesa dovranno comportare sia misure di competenza dei governi nazionali degli Stati membri della nuova Unione che misure di competenza del nuovo “governo europeo”. Le stesse disposizioni di cui sopra vanno applicate alla politica di sicurezza e di difesa (ruolo transitorio del Consiglio europeo).
Disposizioni di natura istituzionale.
- Diritto d’iniziativa legislativa dell’attuale Parlamento europeo e dei cittadini europei.
Nell’attesa dell’entrata in vigore della nuova Assemblea Legislativa bicamerale (composta dal Parlamento europeo, quale nuova Camera bassa e dal Consiglio dell’UE trasformato in una Camera alta denominata “Senato degli Stati”), occorre dotare l’attuale Parlamento europeo di un generale diritto d’iniziativa legislativa per proporre, modificare o abrogare le norme legislative, o per richiedere la presentazione di una proposta legislativa alla Commissione Europea modificando l’art. 225 TFUE.
- Riforme necessarie alla trasformazione della Commissione europea in un vero governo europeo.
Il nuovo Trattato dovrebbe prevedere un periodo transitorio per il completamento della trasformazione della Commissione europea in un governo europeo. Naturalmente, la Commissione dovrebbe essere privata nel frattempo delle competenze di garanzia proprie di un organo neutro, che andrebbero attribuite a soggetti idonei. Nel periodo transitorio, il Presidente della Commissione dovrebbe essere eletto dal Parlamento europeo, su proposta del Consiglio europeo, ma previo rafforzamento del sistema degli Spitzenkandidaten e attraverso l’introduzione di liste transnazionali per l’elezione di un numero di membri del PE in cui sia politicamente esplicito che il capolista è candidato alla carica di Presidente della Commissione. Un tale meccanismo è volto a produrre una forma di automatismo politico nella scelta da parte del Consiglio europeo del candidato in grado di esprimere una maggioranza parlamentare, senza che resti spazio per un negoziato intergovernativo. Durante il periodo transitorio, i membri della Commissione verrebbero designati dal Consiglio europeo su proposta del Presidente della Commissione (eventualmente all’interno di terne di candidati proposte dal governo di ciascuno Stato membro) e sarebbero soggetti collettivamente al voto di fiducia del Parlamento europeo.
Alla scadenza del periodo transitorio potrebbero valere diverse ipotesi. Potrebbe cessare l’intervento del Consiglio europeo nella nomina del Presidente del nuovo governo europeo. La funzione di proposta del candidato a Presidente del nuovo governo europeo dovrebbe essere attribuita ad un organo neutrale (per esempio il Presidente della nuova Camera bassa) sulla base di consultazioni destinate a verificare l’esistenza di una maggioranza parlamentare, fermo restando il meccanismo degli Spitzenkandidaten nell’ambito di liste transnazionali. Spetterebbe al Presidente eletto dalla maggioranza parlamentare la decisione di costituire i membri del suo governo facendo appello a cittadini dei vari Stati senza un numero prefissato di questi ultimi pur rispettando inizialmente un certo equilibrio geografico. Naturalmente la scelta del “governo europeo” e la sua composizione dovrà ottenere la fiducia, con un voto a maggioranza assoluta, della nuova Camera bassa. Quest’ultima può revocare il Presidente del governo europeo con una mozione di censura “costruttiva” da adottare sempre a maggioranza assoluta dei suoi membri e previa indicazione di un nuovo Presidente.
Una seconda ipotesi che non si può escludere a priori potrebbe invece prevedere il mantenimento di una legittimazione intergovernativa della Commissione da parte del Consiglio europeo continuando ad attribuirgli il potere della proposta al Parlamento europeo del Presidente della Commissione, salvo restando il meccanismo della successiva fiducia da parte del Parlamento europeo e della sua eventuale revoca.
- Riforme necessarie alla trasformazione del Consiglio in una seconda Camera legislativa (“Senato degli Stati”).
La creazione di una seconda Camera al posto dell’attuale Consiglio rende necessaria la soppressione della rotazione attuale dei Ministri nazionali e la creazione di un organo permanente composto da membri fissi rappresentanti dei governi (ma non si vuole qui escludere la possibilità di una loro designazione da parte dei parlamenti) degli Stati membri dell’Unione. Questo nuovo organo (o Senato degli Stati) potrebbe avere una composizione ponderata simile all’attuale Bundesrat tedesco (a titolo di esempio, un numero di due membri per gli Stati meno popolosi, un numero doppio per gli Stati di media popolazione e un numero triplo per i grandi Stati). Un tale sistema permetterebbe di non alterare eccessivamente la composizione della Camera bassa (attuale Parlamento europeo) prevedendo una sua composizione interamente proporzionale per ciascuno Stato a partire da un milione di abitanti a cui si aggiungerebbe per tutti gli Stati un piccolo numero di rappresentanti (per esempio quattro) in modo da permettere una piccola rappresentanza (diritto di “tribuna”) per gli Stati la cui popolazione sarebbe inferiore ad un milione di abitanti. Andrebbero poi disciplinate le modalità di votazione delle due Camere sulle proposte di leggi europee al fine di mantenere il più possibile inalterata la procedura legislativa attuale che richiede l’accordo congiunto di Consiglio e Parlamento europeo sullo stesso testo. Beninteso, nel nuovo sistema occorrerà sopprimere la procedura legislativa speciale, all’eccezione delle misure di politica estera e di difesa che richiedessero una decisione di natura legislativa.
Ruolo transitorio del Consiglio europeo.
Durante il periodo transitorio, il Consiglio europeo, assicura la Presidenza collegiale dell’Unione federale europea. Esercita i suoi poteri di decisione (vedi sotto) e ne affida l’esecuzione al Consiglio dei Ministri. Nella sua veste di Presidenza collegiale dell’Unione, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata,
- Propone al Parlamento europeo la nomina del Presidente della Commissione e dei suoi membri;
- Esercita i poteri di decisione nel campo della politica estera e della politica di sicurezza e difesa Comune;
- Può aumentare il tetto delle risorse proprie dell’Unione;
- Indice le elezioni del Parlamento europeo;
- Ratifica, previa autorizzazione del Parlamento europeo, i Trattati internazionali;
- Nomina i giudici della Corte europea di Giustizia.
Disposizioni finanziarie (da richiamare nella parte sul rafforzamento dei poteri del PE)
Occorre modificare le disposizioni dell’art. 311 TFUE sulle risorse proprie dell’Unione al fine, da un lato, di affermare la capacità dell’UE di stabilire risorse fiscali e contrarre prestiti e, dall’altro, di precisare la natura delle risorse proprie e la soppressione progressiva dei contributi nazionali al bilancio dell’Unione. Inoltre, la decisione relativa alle risorse proprie dell’Unione va presa secondo la procedura legislativa ordinaria. Il testo potrebbe prevedere che “la nuova Assemblea legislativa vota le leggi e le imposte della nuova Unione federale, approva i bilanci, autorizza la ratifica dei Trattati, accorda e revoca la fiducia al nuovo governo europeo (con eventuale dissoluzione dell’Assemblea e convocazione di nuove elezioni). Eventualmente, si potrebbe prevedere che, durante il periodo transitorio, il Parlamento europeo e il Consiglio, con procedura legislativa ordinaria, possano imporre imposte fino ad una percentuale massima del 2%, che potrebbe essere aumentata con delibera del Consiglio europeo a maggioranza qualificata. A queste imposte continuano ad essere affiancati contributi nazionali degli Stati membri. Allo scadere del periodo transitorio vengono eliminati i contributi nazionali e il tetto massimo dell’imposizione, e la decisione sulle entrate viene presa dalla nuova Assemblea bicamerale.
Revisione del nuovo Trattato Costituzionale.
L’Assemblea legislativa della nuova Unione federale, deliberando a maggioranza dei due terzi dei membri di ognuna delle due Camere, può adottare emendamenti che modifichino o completino il Trattato istitutivo della nuova Unione:
- Di sua propria iniziativa;
- Su richiesta del Governo della nuova Unione federale.
- Su richiesta di ciascuno Stato membro dell’Unione federale.
Gli emendamenti adottati entreranno in vigore previa ratifica dei due terzi degli Stati membri dell’Unione federale.
- Scritto da Paolo Ponzano
Dall’Unione Europea all’Unione Federale
L’accordo intervenuto sulla creazione di un nuovo strumento finanziario (il Next Generation EU) e su un debito comune europeo, potrebbe far pensare che l’UE sia in grado di evolvere progressivamente verso un governo europeo senza la revisione dei Trattati in vigore.
Nulla garantisce tuttavia che i passi in avanti realizzati con il Next Generation EU e il debito comune europeo in quanto risposta dell’UE alla crisi pandemica diventino strumenti permanenti e non contingenti della governance europea se non fossero a termine consolidati in una riforma dei Trattati in vigore.
Da un lato, infatti, alcuni Stati hanno accettato la messa in atto di tali strumenti solo in quanto straordinari e non permanenti, dall’altro si tratta di strumenti che possono sempre essere contestati in quanto non previsti dai Trattati in vigore (artt. 125, 310 e 311 TFUE).
Per questo occorre mettere mano ad una vera e propria riforma costituente dell’Unione europea.
1. Premessa • 2. Come riformare l’Unione Europea • 3. Stato Federale oppure Unione Federale • 4. Il Potere Costituente • 5. I progetti costituzionali nella storia dell’integrazione europea • 6. Elementi necessari alla creazione di una Unione Federale.
1. Introduzione
La prima questione da porre è se la riforma dei meccanismi istituzionali e delle politiche dell’Unione europea esige necessariamente una riforma dei Trattati europei in vigore o se sia possibile un’evoluzione progressiva della stessa UE attraverso modifiche puntuali della governance in vigore attuate dai governi nazionali e dalle Istituzioni esistenti. L’accordo intervenuto sulla creazione di un nuovo strumento finanziario (il Next Generation EU) e su un debito comune europeo che gli Stati rimborseranno progressivamente fino al 2058 tramite l’introduzione di nuove imposte europee che forniranno risorse proprie al bilancio europeo potrebbe far pensare che l’UE sia in grado di evolvere progressivamente verso un governo europeo senza la revisione dei Trattati in vigore. Nulla garantisce tuttavia che i passi in avanti realizzati con il Next Generation EU e il debito comune europeo in quanto risposta dell’UE alla crisi pandemica diventino strumenti permanenti e non contingenti della governance europea se non fossero a termine consolidati in una riforma dei Trattati in vigore. Da un lato, infatti, alcuni Stati hanno accettato la messa in atto di tali strumenti solo in quanto straordinari e non permanenti, dall’altro si tratta di strumenti che possono sempre essere contestati in quanto non previsti dai Trattati in vigore (artt. 125, 310 e 311 TFUE). Per questo occorre mettere mano ad una vera e propria riforma costituente dell’Unione europea.
2. Come riformare l’Unione Europea
La procedura oggi in vigore per la modifica dei Trattati (art. 48 TUE) implica necessariamente l'accordo di tutti gli Stati membri al momento della firma e l'accordo unanime successivo degli stessi Stati (27) tramite ratifica da parte dei rispettivi Parlamenti oppure, in alcuni Stati, tramite un referendum popolare. È tuttavia notoria la difficolta di trovare un accordo tra i 27 Stati membri, date le divergenti visioni sugli obiettivi del processo d’integrazione. Il diritto internazionale offre due soluzioni per aggirare tale difficolta.
Una soluzione sarebbe quella di invocare la clausola “rebus sic stantibus” prevista dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati e di concludere pertanto un nuovo Trattato con regole diverse con gli Stati che fossero d'accordo per una riforma più sostanziale dell'Unione europea. Tale soluzione condurrebbe al risultato di aggirare la regola dell'accordo unanime degli Stati prevista dall’art. 48 TUE e di permettere la conclusione di un nuovo Trattato con l'accordo di una maggioranza (da determinare) degli Stati attuali. Questo risultato potrebbe essere raggiunto anche attraverso un’altra via, e cioè con l’inserimento nel testo del nuovo trattato di una clausola che preveda la sua entrata in vigore nei soli paesi in cui i rispettivi Parlamenti nazionali lo avessero ratificato (oppure in cui le rispettive popolazioni lo avessero approvato nel referendum popolare). Infatti, in assenza di un vero e proprio popolo europeo (il Trattato di Lisbona parla di cittadini dell’Unione e non di un popolo europeo), sarebbe giuridicamente e politicamente impossibile vincolare uno o più Stati all’adesione al nuovo Trattato nel caso in cui il loro Parlamento oppure la loro popolazione si esprimessero in senso contrario a tale adesione nel voto parlamentare oppure nel voto referendario.
La conclusione di un nuovo Trattato potrebbe risolvere il problema dell’integrazione differenziata in seno all’attuale Unione europea in quanto gli Stati desiderosi di mantenere l’attuale livello di integrazione potrebbero farlo rimanendo vincolati alle disposizioni dei Trattati attuali, mentre gli Stati che volessero progredire verso una vera e propria unione federale sarebbero liberi di concludere il nuovo Trattato contenente disposizioni supplementari in questa direzione. Naturalmente, occorrerebbe precisare nello stesso Trattato o in un Trattato separato le relazioni tra l’attuale Unione europea e la nuova Unione federale.
3. Stato Federale oppure Unione Federale
La riforma dell'Unione europea sara funzione degli obiettivi che gli Stati membri, le forze politiche e i cittadini dell’attuale Unione europea si prefiggono di raggiungere. Non è realistico pensare alla creazione di uno Stato federale che sostituisca gli Stati nazionali esistenti, in alcuni casi, da centinaia di anni, poiché in tal caso occorrerebbe dotare le Istituzioni del nuovo Stato della totalita delle competenze che spettano oggi agli Stati nazionali. Se invece ritenessimo che lo Stato nazionale non è più in grado di svolgere la totalita delle funzioni svolte nell’Ottocento ed esercitare una sovranita assoluta in tutti i suoi campi di attivita, in tal caso la soluzione più realistica sarebbe di creare un’unione federale degli Stati nazionali esistenti (o di una parte di essi) per aggregazione degli stessi ma senza per questo sopprimere gli Stati nazionali esistenti. Si tratterebbe in tal caso di condividere la sovranita che al giorno d’oggi non può più essere assoluta come nell’Ottocento ma condivisa tra lo Stato nazionale e un’unione federale che disponga di poteri “limitati ma reali”.
4. Il Potere Costituente
Questo testo non è il luogo appropriato per un’analisi teorica della dottrina costituzionalista e delle diverse forme che potrebbe assumere il potere costituente in quanto atto fondativo di una nuova Unione europea (che si fondi su una Costituzione europea o su una Legge Fondamentale).
Basta limitarsi a constatare l’esistenza di una dottrina detta “contrattualista” secondo cui la “Costituzione” o altro Atto fondativo si configura come un “contratto sociale” mediante il quale una comunita di persone o di popoli decidono di darsi uno “statuto” di cittadini di una nuova organizzazione politica.
Nel caso dell’Unione europea, tale potere costituente potrebbe essere esercitato in diversi momenti della sua vita istituzionale :
1) alla fine della Conferenza sul futuro dell’Europa, qualora un numero significativo di cittadini e di organizzazioni europee chiedessero al Parlamento europeo di elaborare un progetto di riforma dell’Unione europea al fine di ampliare le sue competenze e di concludere un nuovo Trattato costituzionale che desse vita ad un’unione federale;
2) alla vigilia di una delle prossime elezioni europee, qualora le principali forze politiche europee volessero dotare il nuovo Parlamento europeo eletto dai cittadini di un ruolo costituente da esercitare nel corso della legislatura elaborando un nuovo progetto di Trattato da sottoporre ai Parlamenti nazionali o ad un referendum paneuropeo;
3) al più tardi, quando gli Stati europei attualmente membri del G7 non disponessero più di un prodotto interno lordo (PIL) che li situasse tra i sette paesi più industrializzati del pianeta. In tal caso, solo la nuova Unione europea disporrebbe dei requisiti economici per essere membra di un futuro G7.
5. I progetti costituzionali nella storia dell’integrazione europea
Nel corso del processo di integrazione europea si è giunti in due occasioni all’elaborazione di progetti, poi abortiti, che avrebbero comportato passi in avanti decisivi nella direzione della creazione di un’Unione federale.
a) Il progetto dell’Assemblea ad hoc.
Il primo progetto costituzionale abortito è stato il progetto di “comunita politica europea” (CPE) elaborato nel 1953 dall’Assemblea ad hoc della CECA (su mandato dei governi dei sei paesi fondatori). Tale progetto era fondato sull’art. 38 del Trattato della Comunita europea di difesa (CED). Esso prevedeva un Parlamento bicamerale, di cui la prima Camera o Camera dei popoli eletta a suffragio universale e la seconda un Senato designato dai Parlamenti nazionali. Il progetto di Trattato prevedeva un Consiglio esecutivo europeo (ispirato dall’Alta Autorita della CECA) che avrebbe esercitato il governo della Comunita e la cui nomina non dipendeva dagli Stati membri. Era previsto anche un Consiglio dei ministri nazionali, formato dai rappresentanti degli Stati membri, al fine di armonizzare l’azione del governo europeo e quella dei governi nazionali.
Tale progetto non ha avuto seguito a causa della bocciatura della CED da parte dell’Assemblea nazionale francese nel 1954.
b) l progetto Spinelli.
Il progetto di Trattato, elaborato all’iniziativa e sotto l’impulso di Altiero Spinelli e votato dal Parlamento europeo nel Febbraio 1984, costituisce il secondo tentativo di dotare l’Unione europea di una base costituzionale (anche se, con il suo realismo politico, Altiero Spinelli non utilizza il termine “costituzionale” per qualificare il suo progetto). Malgrado tale prudenza di linguaggio, il Trattato del 1984 conteneva numerose innovazioni fondamentali che si possono qualificare di “costituzionali” nel senso classico del termine : una separazione più chiara dei poteri tra due Camere legislative che votavano a maggioranza (il Parlamento europeo ed il Consiglio dell’Unione, quest’ultimo votando in regola generale a maggioranza qualificata, salvo per un periodo transitorio di 10 anni) ed un Esecutivo /governo (la Commissione europea); una responsabilita politica chiara della Commissione nei riguardi del Parlamento europeo; una differenziazione tra la “legge organica” e la legislazione ordinaria relativa alle politiche; l’attribuzione all’Unione di un potere fiscale autonomo; l’introduzione dei diritti fondamentali e di sanzioni nei riguardi degli Stati membri che li violassero (prima della Carta europea dei Diritti fondamentali); last but not least, il principio maggioritario (maggioranza degli Stati membri rappresentanti i due terzi della popolazione) per l’entrata in vigore del Trattato. Il tentativo di Altiero Spinelli di dotare l’Unione di un testo costituzionale fallì a profitto di una riforma più limitata dei Trattati (l’Atto unico europeo) che non conteneva nessuno degli elementi novatori del Trattato Spinelli. Tuttavia, i due terzi delle disposizioni novatrici del progetto Spinelli sono stati introdotti progressivamente nei Trattati successivi, all’eccezione delle norme più importanti (il principio maggioritario per l’entrata in vigore dei Trattati, il potere fiscale autonomo dell’Unione e la gerarchia delle norme).
In maniera generale, si può affermare che i due progetti “costituzionali” preservavano sostanzialmente il ruolo delle Istituzioni principali dell’attuale Unione europea, compreso il Consiglio europeo, sia pure con competenze diverse, e il ruolo degli Stati membri nell’architettura istituzionale dell’Unione europea.
6. Elementi necessari alla creazione di una Unione Federale.
Se l’Unione europea dovesse avviare una fase costituente (vedi sopra), occorrerebbe definire gli elementi e/o le competenze che dovrebbero essere iscritti/e in un nuovo Trattato affinché l’attuale Unione europea diventi un’unione federale:
(1) Il primo elemento necessario sarebbe l’elaborazione e l’approvazione di un testo costituzionale che attribuisca una legittimita politica e giuridica alla nuova entita attraverso un processo costituente che permetta la sua validazione da parte dei cittadini europei e/o dei suoi rappresentanti attraverso una ratifica popolare o parlamentare. Il termine “Legge Fondamentale” – gia utilizzato dalla Germania odierna per differenziarlo dalla Costituzione di Weimar - sarebbe preferibile a quello di Costituzione (pur avendo lo stesso significato e contenuto) al fine di evitare una polemica in un eventuale referendum popolare sulla questione di sapere se la nuova “Costituzione” europea sia o no superiore alle Costituzioni nazionali esistenti. La risposta è evidentemente che la nuova “Legge Fondamentale” ha la priorita rispetto alle Costituzioni nazionali nei soli campi di attivita in cui essa ha attribuito competenze (e quindi sovranita) all’Unione europea, ma non intacca le disposizioni delle Costituzioni nazionali negli altri campi di attivita.
(2) Il secondo elemento necessario sarebbe la costituzione di un vero e proprio governo europeo – responsabile nei riguardi di un Parlamento europeo - che disponga delle funzioni esecutive indispensabili nei settori di competenza dell’Unione (= poteri limitati ma reali). Alcuni ritengono che il nuovo governo europeo dovrebbe essere un’emanazione dell’attuale Commissione europea modificando tuttavia la sua composizione di un membro per ogni Stato e le sue competenze. La Commissione europea ha gia indicato in un suo rapporto sull’Unione europea la sua disponibilita ad essere soppressa nel momento in cui si formera un vero e proprio governo europeo. L’essenziale è che i membri del futuro governo europeo, che siano scelti dal Presidente unico della nuova UE – eventualmente eletto direttamente dai cittadini europei - oppure dai governi nazionali degli Stati membri, siano responsabili direttamente nei riguardi del futuro Parlamento (composto da una doppia Camera degli Stati e dei popoli) e facciano l’oggetto di un voto di fiducia di quest’ultimo. Se i membri del nuovo governo europeo fossero scelti direttamente dal Presidente unico dell’Unione, non dovrebbero necessariamente avere la nazionalita di tutti gli Stati Membri (vale a dire che il Presidente del governo europeo potrebbe scegliere più cittadini di uno Stato membro e al tempo stesso nessun cittadino di un altro Stato). Il Trattato dovra precisare se il nuovo governo europeo disporra di un diritto d’iniziativa legislativa oppure se quest’ultimo sara affidato al nuovo Parlamento composto da due Camere. I due progetti costituzionali gia elaborati prevedono sostanzialmente che l’iniziativa legislativa spetti sia all’organo esecutivo (= governo) che all’organo parlamentare.
(3) Il terzo elemento è che il governo europeo dovrebbe essere responsabile nei riguardi di un nuovo Parlamento bicamerale (composto da una Camera degli Stati e una Camera dei popoli). Il problema che si pone è quello di mantenere o meno in vita l’attuale struttura di un Consiglio di Ministri (e, a fortiori, di un Consiglio europeo) in quanto secondo organo legislativo e, addirittura, per quanto riguarda il Consiglio europeo, come organo principale di direzione e di impulso politico dell’Unione. I due progetti costituzionali gia menzionati prevedevano entrambi il mantenimento di una struttura politica intergovernativa (nel caso della CPE a complemento di un Parlamento bicamerale). Una soluzione potrebbe essere quella, mutatis mutandis, del progetto Spinelli, nel senso di mantenere in vigore una struttura “intergovernativa” per un periodo transitorio prima di passare ad un unico Parlamento bicamerale. Una volta deciso di rimpiazzare l’attuale Consiglio dei ministri (e anche il Consiglio europeo), composti entrambi da un rappresentante per ogni Stato membro e che decidono spesso all’unanimita o per consenso, sara indispensabile che la nuova Camera degli Stati sia composta da un numero paritario di Stati (mentre la Camera bassa sara composta in modo proporzionale alla popolazione), entrambe votando con procedure maggioritarie. Se questa soluzione è stata accettata nella Costituzione americana con il “great compromise” di Filadelfia, a fortiori dovrebbe essere prevista nella nuova Unione federale europea in cui molti Stati membri esistono da molti secoli (contrariamente agli Stati federati americani). L’essenziale è che la nuova Camera bassa sia votata dai cittadini europei sulla base di liste transnazionali (inizialmente per una parte dei seggi, che venga aumentata progressivamente) e pertanto di partiti effettivamente europei con programmi realmente comuni e non, come oggi, sulla base di programmi genericamente europei ma che sono in realta la somma di programmi nazionali. Occorrera evitare che i membri della nuova Camera bassa votino su basi sostanzialmente nazionali, come accade assai frequentemente per gli eurodeputati del Parlamento europeo (ad esempio, i MEPS francesi votano in blocco le risoluzioni in materia di politica agricola che corrisponde ad un interesse nazionale francese).
(4) Il quarto elemento sarebbe quello di introdurre nella Legge Fondamentale un nuovo sistema di ripartizione delle competenze tra l’Unione federale e i suoi Stati membri che abbia un carattere più permanente e che soprattutto abolisca il potere esclusivo degli Stati membri di attribuire competenze all’Unione federale (vale a dire abolire il potere attuale degli Stati di essere i “padroni dei Trattati”). Questo cambiamento sarebbe legittimato da un’approvazione popolare o da parte dei Parlamenti nazionali della nuova “Legge Fondamentale”. Nello stesso tempo, un nuovo sistema di ripartizione delle competenze dovrebbe attribuire all’Unione federale una sua “autonomia strategica” che le permettesse di esercitare competenze proprie sia nella politica estera che in quella interna. In politica estera, l’Unione federale avra bisogno di una capacita di difesa autonoma che renda credibili le sue decisioni (invio di missioni di mantenimento della pace, forze d’intervento, ecc..) ma non potra per molto tempo assumere l’interezza della sua capacita militare (gli Stati membri dovranno conservare un ruolo militare essenziale). Inoltre, in politica interna, l’autonomia strategica dell’Unione federale riguardera la moneta (ruolo internazionale dell’Euro), l’economia/finanza (capacita fiscale autonoma), la sicurezza interna (lotta al terrorismo e alla criminalita organizzata), la capacita di competere nel mercato globale (a cominciare dall’agenda digitale e dalla intelligenza artificiale), le relazioni con i paesi vicini (la politica di prossimita avviata da Prodi) e con l’Africa, che appartengono all’azione esterna dell’UE e che possono essere rafforzate in una logica federale con un ruolo di iniziativa e di rappresentanza del governo europeo e con le decisioni delle due Camere legislative prese a maggioranza.
(5) Il quinto elemento (gia accennato nel quarto) sarebbe quello di dotare la nuova Unione di un bilancio federale che disponga di vere e proprie risorse proprie e, in particolare, di una capacita fiscale autonoma che permetta alla nuova Unione federale di imporre imposte europee direttamente sulle imprese e sui cittadini dell’Unione. Infatti, nella sua stesura attuale, l’art. 311 TFUE secondo cui “l’Unione si dota dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi” è interpretato diversamente dagli esegeti dei Trattati. Secondo alcuni, esso autorizza l’imposizione di tasse europee, secondo altri (vedi rapporto Monti del 2016) l’UE non può imporre direttamente tasse europee. Vedremo fra poco tempo, secondo il calendario concordato tra il Consiglio dei ministri ed il Parlamento europeo, se l’UE sara in grado di procurarsi autonomamente nuove risorse proprie attraverso l’imposizione di tasse europee quali la web tax, la carbon tax o la corporate tax. L’essenziale è che la nuova Unione federale disponga della capacita autonoma di prelevare direttamente delle imposte europee sulle imprese e sui cittadini (come faceva nel passato l’Alta Autorita della CECA nei confronti dei produttori di carbone o di acciaio) senza passare attraverso l’armonizzazione preventiva delle imposte nazionali e pertanto senza l’intervento dei bilanci nazionali.
(6) il sesto e ultimo elemento necessario alla creazione di una vera e propria Unione federale sarebbe la revisione delle disposizioni dei Trattati vigenti in materia di difesa dei valori fondamentali dell’Unione e dello Stato di diritto. Il Trattato di Lisbona è stato interpretato diversamente da chi attribuisce un valore preminente alla difesa dell’identita nazionale e da chi ritiene preminente il rispetto dello Stato di diritto e il principio di leale collaborazione tra le Istituzioni e gli Stati membri. La Corte di giustizia ha gia sancito la necessita di rispettare l’autonomia di una magistratura indipendente come anche di una stampa libera e non soggetta a censura da parte del potere politico. Pertanto, sarebbe necessario rivedere le disposizioni attuali che impediscono, grazie ad una procedura che richiede l’unanimita, di sanzionare effettivamente le violazioni dello Stato di diritto. In altre Organizzazioni come l’ONU o il Consiglio d’Europa è prevista la possibilita di sospendere uno Stato membro in caso di violazioni dello Stato di diritto. Una disposizione in tal senso dovrebbe essere introdotta nella Legge Fondamentale dell’Unione federale europea.
- Scritto da Giulia Rossolillo
La riforma del sistema di voto nel Consiglio e nel Consiglio europeo
Introduzione
La necessità di superare il potere di veto da parte di singoli Stati membri estendendo il voto a maggioranza a tutti i settori di competenza dell’Unione europea è sicuramente una questione centrale nel dibattito sul futuro del processo di integrazione europea. Secondo alcuni, tuttavia, l’abbandono dell’unanimità nei settori nei quali essa è tuttora applicata e la sua sostituzione con decisioni a maggioranza qualificata rappresenterebbero di per sé una riforma in grado di trasformare l’Unione europea in una Federazione, consentendole di emanciparsi dal controllo che gli Stati membri tuttora esercitano sul suo funzionamento. In questa nota si vuole invece spiegare perché la sola riforma del sistema di voto all’interno degli organi che rappresentano direttamente gli Stati non è sufficiente alla creazione di una Unione federale, e analizzare a quali passi deve accompagnarsi.
L’unanimità come metodo di decisione nei settori che toccano il cuore della sovranità statale
L’unanimità costituisce ancor oggi il metodo di votazione utilizzato in alcuni settori cruciali per il funzionamento dell’Unione. Se è vero, infatti, che dalla creazione della Comunità Economica Europea ad oggi le ipotesi di decisione all’unanimità nel Consiglio sono notevolmente diminuite, soppiantate da decisioni a maggioranza qualificata, non va dimenticato che un consenso unanime degli Stati in seno al Consiglio (o al Consiglio europeo) è sempre richiesto nei due settori che costituiscono il nocciolo duro della sovranità: quello della fiscalità (l’ammontare del bilancio dell’Unione e la natura ed entità delle risorse che lo finanziano sono decisi dal Consiglio all’unanimità e tale decisione deve poi essere ratificata da tutti gli Stati membri; come pure l’unanimità è richiesta per l’approvazione del Quadro Finanziario Pluriennale) e quello della politica estera e di difesa (nel quale ogni decisione è presa dal Consiglio o dal Consiglio europeo con il consenso unanime di tutti gli Stati). La necessità di un accordo unanime in seno agli organi europei che rappresentano i governi relativamente ai due settori considerati risulta poi rafforzata da alcune altre disposizioni che rendono evidente come fosse ferma intenzione degli Stati mantenere nelle loro mani il controllo delle competenze che definiscono la sovranità statale.
Innanzitutto, in entrambi i casi non solo è richiesta una decisione unanime del Consiglio, bensì il Parlamento europeo è quasi totalmente escluso dalla presa di decisione. Nel caso della decisione sulle risorse proprie, infatti, esso viene solo consultato, e lo stesso vale nel settore della politica estera e di sicurezza comune. In tale ultimo settore, peraltro, l’art. 31 TUE prevede espressamente che non si possano adottare atti legislativi, escludendo in questo modo che si possa prevedere l’adozione di decisioni con una procedura (quella legislativa ordinaria) che ponga su un piede di parità Parlamento europeo e Consiglio.
Inoltre, se è vero che i trattati prevedono – sia in alcune disposizioni specifiche, sia in generale nell’art. 48 TUE – le cosiddette clausole passerella, e cioè la possibilità che il Consiglio europeo (o nelle ipotesi specifiche il Consiglio) consenta, all’unanimità, che in un determinato settore il Consiglio non decida più all’unanimità, bensì a maggioranza qualificata (o si passi da una procedura legislativa speciale a una procedura legislativa ordinaria), non va dimenticato che il trattato vieta espressamente che tali passerelle si applichino nel caso di decisioni “che hanno implicazioni militari o che rientrano nel settore della difesa” o alle ipotesi di cui agli artt. 311, commi 3 e 4, e 312, comma 1, par. 2, TFUE (decisione sulle risorse proprie e approvazione del Quadro Finanziario Pluriennale).
Al di là del fatto che tali passerelle, anche nei settori nei quali sarebbero possibili, non sono mai state applicate, l’espressa previsione dell’impossibilità di farne uso nei due settori che costituiscono il nucleo della sovranità statale non è casuale, bensì risponde appieno alla logica del metodo comunitario e alle caratteristiche di fondo del processo di integrazione così come concepito fin dalla creazione della CEE.
Il successo del metodo comunitario nella creazione del Mercato unico e i suoi limiti
In effetti, fin dalla creazione della Comunità Economica Europea, il processo di integrazione si è fondato sull’idea di creare forme di cooperazione sempre più stretta tra Stati sovrani e di esercizio in comune di funzioni statali in alternativa al trasferimento di alcune di queste a livello europeo. Per quanto l’evoluzione del processo di integrazione abbia con ogni probabilità superato le aspettative degli stessi Padri Fondatori in termini di rafforzamento dei legami e dell’interdipendenza tra gli Stati membri, tali caratteristiche si sono mantenute inalterate nell’Unione europea, proprio perché specifiche del patto fondativo sulla base del quale il processo di integrazione si è sviluppato. La struttura dell’Unione europea è infatti acefala, nel senso che si tratta di un’organizzazione concepita espressamente come priva di un governo, cioè di un potere superiore agli Stati in grado di assumere decisioni politiche, ed è fondata esclusivamente su forme di governance, ossia forme di esercizio in comune di sovranità statali.
Si tratta di un meccanismo che ha funzionato particolarmente bene per la creazione di un mercato comune, dato il particolare tipo di intervento di natura tecnica e amministrativa necessario in questo settore. In questo campo, per quanto l’Unione europea non disponga di un apparato amministrativo proprio sul territorio degli Stati membri, e dunque in ultima analisi l’esecuzione delle disposizioni dell’Unione dipenda dall’attività delle amministrazioni degli Stati membri, il metodo comunitario ha esplicato tutte le proprie potenzialità: un Parlamento europeo co-legislatore insieme al Consiglio, e dunque limitazione delle ipotesi di decisione all’unanimità, atti - quali i regolamenti - direttamente applicabili negli ordinamenti degli Stati membri, un controllo giurisdizionale pieno da parte della Corte di giustizia. Si tratta di settori, infatti, nei quali, la sovranità statale subisce delle compressioni, ma non è posta in pericolo, e dunque gli Stati hanno accettato che il diritto dell’Unione europea, attraverso i propri strumenti di carattere normativo, si imponesse agli Stati membri, anche senza il loro consenso unanime.
Un discorso totalmente differente, come accennato sopra, va applicato invece ai settori che toccano il cuore della sovranità statale e che implicano decisioni di carattere politico: in particolare quello della fiscalità (finanziamento dell’Unione) e quello della politica estera e di difesa. In detti settori, infatti, il potere decisionale è stato mantenuto nelle mani del Consiglio o del Consiglio europeo, con decisione all’unanimità, e si è esclusa dunque la possibilità che il Parlamento europeo esercitasse la sua funzione di co-legislatore e che in tali materie l’Unione potesse legiferare mediante atti direttamente applicabili nel territorio degli Stati membri. Si tratta di una soluzione perfettamente coerente con le premesse del processo di integrazione: in mancanza di un potere esecutivo legittimato democraticamente, le decisioni sono prese in comune dagli esecutivi nazionali che, pur riconoscendo la necessità di cooperare per affrontare sfide di dimensione continentale, non accettano di dar vita a una sovranità europea a loro superiore.
In ultima analisi, come è stato notato, il metodo comunitario facilita la cooperazione tra Stati, ma non comporta un trasferimento di certi poteri a un livello di governo superiore indipendente dagli Stati stessi. Se questo è il modello sul quale i Trattati istitutivi si sono fondati, ne consegue che mantenendosi all’interno dei meccanismi previsti dagli stessi trattati è possibile tentare di migliorare la cooperazione tra Stati, ma non superarla a favore di un modello – quello fondato su una reale integrazione, il modello federale – che poggia su presupposti completamente diversi.
L’esempio della fiscalità
Per tornare alla contrapposizione maggioranza/unanimità, e prendendo in considerazione uno dei settori cardine della sovranità statale, quello della fiscalità, anche ipotizzando (ipotesi vietata espressamente dai Trattati) che nel determinare le risorse a disposizione dell’Unione e il loro ammontare il Consiglio possa decidere a maggioranza qualificata anziché all’unanimità, non usciremmo comunque dalla logica intergovernativa nella quale si muovono in questa materia i Trattati. In primo luogo perché l’art. 311 TFUE stabilisce che tale decisione entri in vigore solo previa approvazione da parte di tutti gli Stati membri secondo le loro rispettive norme costituzionali. In secondo luogo perché l’organo rappresentativo dei cittadini, il Parlamento europeo, manterrebbe un ruolo irrilevante. E in terzo luogo perché la decisione sulle risorse dell’Unione non si rivolge ai cittadini, ma agli Stati membri, dal momento che la potestà fiscale rimane nelle loro mani. Gli Stati membri manterrebbero quindi il potere di decidere e di condizionare la possibilità che l’Unione si finanzi e dunque possa funzionare.
La necessità di passare da un modello fondato sulla cooperazione a un modello fondato sulla creazione di un potere sovranazionale
Che in un contesto quale quello definito dai Trattati attuali il passaggio dall’unanimità alla maggioranza non sia la soluzione emerge chiaramente anche dall’esperienza degli Stati Uniti d’America. L’articolo IX degli Articles of Confederation stabiliva in effetti – contrariamente a quanto fanno i trattati istitutivi dell’Unione europea – che anche in materia di finanziamento della Confederazione e di politica estera e di difesa il Congresso (composto dai rappresentanti degli Stati membri) decidesse a maggioranza[1]. Come nota Hamilton nel Federalist n. 15, tuttavia, il fatto che la decisione non fosse presa all’unanimità non aveva alcuna influenza, dato che le decisioni del Congresso si rivolgevano agli Stati, che dovevano fornire il denaro per finanziare la Confederazione e gli uomini per formare il suo esercito, e che potevano dunque rifiutarsi di darvi esecuzione[2].
[1] “The united states in congress assembled shall never engage in a war, nor grant letters of marque and reprisal in time of peace, nor enter into any treaties or alliances, nor coin money, nor regulate the value thereof, nor ascertain the sums and expences necessary for the defence and welfare of the united states, or any of them, nor emit bills, nor borrow money on the credit of the united states, nor appropriate money, nor agree upon the number of vessels of war, to be built or purchased, or the number of land or sea forces to be raised, nor appoint a commander-in-chief of the army or navy, unless nine states assent to the same; nor shall a question on any other point, except for adjourning from day to day be determined, unless by the votes of a majority of the united states in congress assembled”. [corsivo mio].
[2] “The great and radical vice in the construction of the existing Confederation is in the principle of legislation for states or governments, in their corporate or collective capacities, and as contradistinguished from the individuals of which they consist. Though this principle does not run through all the powers delegated to the Union, yet it pervades and governs those on which the efficacy of the rest depends. Except as to the rule of appointment, the United States has an indefinite discretion to make requisitions for men and money; but they have no authority to raise either, by regulations extending to the individual citizens of America. The consequence of this is, that though in theory their resolutions concerning those objects are laws, constitutionally binding on the members of the Union, yet in practice they are mere recommendations which the States observe or disregard at their option … Government implies the power of making laws. It is essential to the idea of a law, that it be attended with a sanction; or, in other words, a penalty or punishment for disobedience. If there be no penalty annexed to disobedience, the resolutions or commands which pretend to be laws will, in fact, amount to nothing more than advice or recommendation. This penalty, whatever it may be, can only be inflicted in two ways: by the agency of the courts and ministers of justice, or by military force; by the coercition of the magistracy, or by the coercition of arms. The first kind can evidently apply only to men; the last kind must of necessity, be employed against bodies politic, or communities, or States. It is evident that there is no process of a court by which the observance of the laws can, in the last resort, be enforced. Sentences may be denounced against them for violations of their duty; but these sentences can only be carried into execution by the sword. In an association where the general authority is confined to the collective bodies of the communities, that compose it, every breach of the laws must involve a state of war; and military execution must become the only instrument of civil obedience. Such a state of things can certainly not deserve the name of government, nor would any prudent man choose to commit his happiness to it”.
Proposte per una riforma dei Trattati per istituire una competenza fiscale dell’Unione europea
Introduzione
Per comprendere le modalità attraverso le quali l’Unione europea si finanzia, e capire così quali interventi politico-istituzionali servono per creare le condizioni per un bilancio europeo adeguato, è necessario distinguere due aspetti:
- La procedura attraverso la quale sono decise le risorse delle quali l’Unione può disporre;
- La tipologia di risorse a disposizione dell’Unione europea.
E’ necessario quindi esaminare se si può dire che l’Unione europea si finanzia indipendentemente dagli Stati membri attraverso imposte europee ed è quindi già dotata di capacità fiscale; e se la creazione di nuove risorse proprie comporterebbe automaticamente un aumento del bilancio dell’Unione e porterebbe all’attribuzione all’Unione di una capacità fiscale.
Infine, è necessario esaminare brevemente il legame tra capacità fiscale, democrazia e sovranità politica.
LA PROCEDURA PER DECIDERE LE RISORSE A DISPOSIZIONE DELL’UNIONE
In questa materia, la disposizione di riferimento è l’articolo 311 TFUE, secondo il quale:
L’Unione si dota dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche.
Il bilancio, fatte salve le altre entrate, è finanziato integralmente tramite risorse proprie.
Il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, all’unanimità e previa consultazione del Parlamento europeo, adotta una decisione che stabilisce le disposizioni relative al sistema delle risorse proprie dell’Unione. In tale contesto è possibile istituire nuove categorie di risorse proprie o sopprimere una categoria esistente. Tale decisione entra in vigore solo previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali.
Il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale, stabilisce le misure di esecuzione del sistema delle risorse proprie dell’Unione nella misura in cui ciò è previsto nella decisione adottata sulla base del terzo comma. Il Consiglio delibera previa approvazione del Parlamento europeo.
Dunque, la procedura attraverso la quale si stabiliscono il tetto massimo delle entrate (e quindi anche delle spese, dal momento che il bilancio dell’Unione, secondo quanto dispone l’art. 310 TFUE, deve essere in pareggio) e la tipologia di risorse che saranno versate nel bilancio consiste in una decisione del Consiglio all’unanimità, che deve in seguito essere approvata da ogni singolo Stato membro secondo le sue rispettive norme costituzionali. Il Parlamento europeo è solo consultato, ovvero è chiamato unicamente a dare un parere non vincolante.
Ne deriva che:
- L’entità delle risorse e la loro tipologia dipendono da un consenso unanime degli Stati espresso sia a livello sovranazionale (decisione del Consiglio all’unanimità) sia a livello nazionale (approvazione da parte di ogni Stato membro secondo le sue rispettive norme costituzionali);
- La decisione sull’entità delle risorse e sulla loro tipologia non è una decisione presa dalle istituzioni dell’Unione autonomamente dagli Stati membri, perché la sua entrata in vigore è subordinata all’approvazione da parte degli stessi a livello nazionale.
LA TIPOLOGIA DI RISORSE A DISPOSIZIONE DELL’UNIONE
Nel Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea del 1957 si stabiliva che le entrate del bilancio fossero costituite da contributi versati dagli Stati membri, ma si prevedeva già che la Commissione avrebbe studiato a quali condizioni tali contributi potessero essere sostituiti con risorse proprie. A tal fine, la Commissione avrebbe dovuto presentare proposte al Consiglio e quest’ultimo, deliberando all’unanimità dopo aver sentito l’Assemblea, ne avrebbe raccomandata l’adozione da parte degli Stati membri secondo le rispettive norme costituzionali.
La prima decisione sulle risorse proprie risale al 1970, e introduce, quali fonti di finanziamento dell’Unione, i dazi doganali, i prelievi agricoli e una percentuale sull’imposta sul valore aggiunto per un ammontare massimo pari all’1% (tale percentuale diventerà una risorsa propria effettiva solo a partire dal 1975). A tali risorse, con la decisione sulle risorse proprie del 1988 ne viene aggiunta una quarta, consistente in una percentuale del RNL degli Stati membri.
Le quattro risorse proprie sopra menzionate non sono omogenee tra loro. Infatti:
- la cosiddetta quarta risorsa, cioè la percentuale sul RNL degli Stati membri (che oggi finanzia quasi il 70% del bilancio UE) non si differenzia in nulla dai contributi degli Stati membri attraverso i quali si finanziava la CEE nei suoi primi anni di vita. È inesatto dunque definirla una “risorsa propria”.
- I dazi doganali e i prelievi agricoli sono, tra le risorse a disposizione dell’Unione, quelle più “proprie”, nel senso che esse sono strettamente collegate a competenze dell’Unione, sono versate nella loro totalità nel bilancio della stessa e il loro ammontare non è prefissato.
- La percentuale sull’imposta sul valore aggiunto è una risorsa propria “debole”, e può per certi versi essere paragonata ai contributi statali: essa non è connessa all’esercizio di competenze dell’Unione, e infatti solo una quota dell’imposta viene versata dagli Stati nel bilancio UE. Dunque il suo ammontare è predeterminato dalla decisione sulle risorse proprie adottata dal Consiglio e approvata dagli Stati membri.
Tali risorse non confluiscono direttamente nel bilancio dell’Unione, ma sono percepite dagli Stati (che ne trattengono il 20% a titolo di rimborso delle spese di riscossione) e compaiono nei loro bilanci. Agli Stati spetta peraltro anche il compito di “compiere ogni atto utile per la gestione dei prelievi e delle restituzioni”[1] ed essi intervengono a tal fine nei confronti dei singoli. Dunque, l’Unione è priva anche di strumenti coercitivi per ottenere il pagamento delle risorse.
SI PUO’ DIRE CHE L’UNIONE EUROPEA SI FINANZIA INDIPENDENTEMENTE DAGLI STATI MEMBRI ATTRAVERSO IMPOSTE EUROPEE E CHE QUINDI E’ GIA’ DOTATA DI CAPACITA’ FISCALE?
Nel libro verde della Commissione del novembre 1978 Financing the Community budget: the way ahead [2], si legge che una risorsa che possa dirsi a tutti gli effetti “propria” deve avere natura fiscale, deve gravare direttamente su individui o persone giuridiche e deve essere indipendente dalle decisioni degli Stati membri. Vi deve essere inoltre anche un legame diretto tra la Comunità e l’operazione economica in relazione alla quale l’imposta è prelevata. Infine, anche se l’imposta viene raccolta dagli Stati membri tale operazione deve essere compiuta a nome della Comunità e l’entrata non deve figurare tra le entrate degli Stati membri né deve essere parte dei loro bilanci nazionali o votata dai loro parlamenti[3].
In modo ancora più chiaro, il Rapporto Monti sulle risorse proprie del 2016 sottolinea che, perché possa parlarsi di imposte europee (e dunque di capacità fiscale dell’Unione) è necessario che venga introdotta una competenza fiscale dell’Unione che comporti che il Parlamento europeo abbia un reale potere di imporre tasse e non abbia alcun tetto prefissato di spesa. Dunque, un’imposta europea dovrebbe essere decisa e riscossa dall’Unione europea e la sua entità dovrebbe essere determinata dal legislatore dell’Unione. Detta imposta dovrebbe poi essere versata direttamente al bilancio dell’Unione. Questa possibilità – sottolinea il Rapporto Monti – non è prevista dai Trattati e quindi dovrebbe essere innanzitutto attribuito all’Unione il potere di imporre tasse[4].
Se esaminiamo le risorse proprie attuali alla luce delle definizioni di imposta europea ora citate, ne deriva che nessuna di queste può essere definita una vera tassa europea. Anche le risorse proprie più tipiche – i dazi doganali e i prelievi agricoli – sono stati decisi dal Consiglio all’unanimità e approvati dagli Stati membri secondo le loro rispettive norme costituzionali, rientrano nell’ammontare massimo del bilancio determinato con la medesima decisione e l’Unione non ha nessuno strumento coattivo per esigerne il pagamento, dal momento che la loro raccolta, e la responsabilità relativa, spetta agli Stati membri.
LA CREAZIONE DI NUOVE RISORSE PROPRIE COMPORTEREBBE AUTOMATICAMENTE UN AUMENTO DEL BILANCIO DELL’UNIONE E PORTEREBBE ALL’ATTRIBUZIONE ALL’UNIONE DI CAPACITA’ FISCALE?
Gli elementi essenziali perché si possa dire che un ente abbia capacità fiscale, e che dunque possa finanziarsi autonomamente, sono pertanto: 1) che abbia il potere di decidere su entrate e spese indipendentemente dagli enti territoriali che lo compongono (Stati membri o regioni); 2) che tale potere di tassazione sia esercitato direttamente su persone fisiche e giuridiche senza passare per gli Stati membri.
Se questo non avviene, e se dunque non si spezza il legame tra Stati membri e risorse proprie, non si può dire che tale ente abbia autonomia e dunque sovranità fiscale.
Le proposte di creare nuove risorse proprie e di attribuirle al bilancio dell’Unione aumentando al contempo il suo tetto massimo non portano alla creazione di tale capacità fiscale, perché non hanno le caratteristiche sopra menzionate e si collocano nell’ambito dei meccanismi attualmente previsti dai Trattati: non sono decise autonomamente dall’Unione, bensì dagli Stati membri e l’Unione non ha il diritto di esigerle direttamente da persone fisiche e giuridiche bensì le sue decisioni sono rivolte agli Stati[5].
Inoltre, dal momento che è interesse degli Stati membri ridurre l’ammontare della quota di RNL che essi devono versare al bilancio dell’Unione (la cosiddetta quarta risorsa), l’introduzione di nuove risorse proprie fiscali, oltre a non essere decisa dall’Unione autonomamente, bensì dagli Stati membri, tende a non portare a un aumento del bilancio UE, se non, nella migliore delle ipotesi, in forma minima. Gli Stati infatti mirano soprattutto a mantenere invariato l’ammontare del bilancio per poter ridurre il loro contributo diretto.
Le vicende dell’imposta sulle transazioni finanziarie sono istruttive a questo proposito. Anche se l’iter di approvazione della direttiva che istituiva l’imposta (attraverso il meccanismo della cooperazione rafforzata) si fosse concluso positivamente, la risorsa in questione sarebbe stata attribuita al bilancio dell’Unione solo in seguito all’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio e poi degli Stati membri, della decisione sulle risorse proprie. Ora, la proposta di decisione sulle risorse proprie prevedeva sì che una quota dell’imposta sulle transazioni finanziarie riscossa a livello nazionale fosse versata al bilancio dell’Unione, ma sottolineava che “la risorsa basata sul RNL proveniente dagli Stati membri partecipanti (alla cooperazione rafforzata) sarebbe ridotta di conseguenza”.
CAPACITA’ FISCALE, DEMOCRAZIA E SOVRANITA’ POLITICA
Il superamento dell’attuale sistema di finanziamento dell’Unione è strettamente connesso alla questione della democrazia e della sovranità politica. Il potere fiscale è una delle prerogative essenziali del Parlamento, cioè dell’organo rappresentativo dei cittadini, e la sua assenza in capo al Parlamento europeo è uno dei principali limiti di tale istituzione.
Richiedere l’assenso unanime dei rappresentanti degli Stati nel Consiglio e a livello nazionale per la determinazione delle risorse a disposizione dell’Unione lasciando al Parlamento europeo solo il potere di esprimere un parere va contro ogni regola di democrazia. I rappresentanti degli Stati traggono la loro legittimazione democratica dall’elettorato nazionale e sono responsabili dinnanzi ad esso. Pretendere che siano loro ad accordarsi sulle risorse dell’Unione rappresenta la rinuncia ad individuare un interesse comune dei cittadini europei, che solo l’organo che li rappresenta – il Parlamento europeo – può esprimere. Sovranità fiscale dell’Unione e realizzazione della democrazia sovranazionale vanno pertanto di pari passo.
“È dunque ben possibile sostenere che l’attribuzione del potere di istituire un tributo di carattere europeo valga ad assegnare una legittimazione politica all’Unione europea rispetto al raggiungimento di un bene comune della comunità europea. Il tributo, in quanto intimo attributo della sovranità, permetterebbe all’Unione europea di cominciare ad atteggiarsi quale ente ‘sovrano' che svolge funzioni politiche rispondenti ai fini di utilità sociale generale”[6].
PROPOSTA DI MODIFICA DEGLI ARTT.310, 311 E 312 TFUE
Per creare una capacità fiscale europea autonoma basata sull’attribuzione di un effettivo potere di imposizione al Parlamento europeo è necessario innanzitutto modificare gli artt. 310, 311 e 312 TFUE che disciplinano il bilancio dell’Unione europea.
Quella che segue è dunque una proposta mirata, che vuole evidenziare il primo passo necessario per una riforma più complessiva. Di fronte ad un processo così complesso come il passaggio ad una vera sovranità politica europea è infatti indispensabile avere ben chiari i punti di riferimento senza i quali non si riescono a sciogliere i nodi che ne impediscono a tutt’oggi l’affermazione, nonostante i risultati già raggiunti dall’Unione europea. Il primo punto è appunto l’attribuzione di un potere fiscale autonomo alle istituzioni europee, conditio sine qua non perché possano essere sviluppati effettivi poteri di governo sovranazionale nei settori e nelle politiche individuati sulla base del principio di sussidiarietà;[7]
Come detto sopra, si tratta di una riforma che dovrà necessariamente accompagnarsi ad una revisione più ampia dei Trattati (che porti di fatto ad un nuovo Trattato complessivo coerente di natura costituzionale) che affronti il rafforzamento delle competenze dell’UE (sicuramente in campo economico, sanitario, migratorio, nella politica estera e di sicurezza, nel settore della ricerca e della formazione) e l’adeguamento in quelle materie dei meccanismi decisionali con la piena codecisione del Parlamento europeo e l’abolizione del voto all’unanimità nel Consiglio e dei veti nazionali, incluso quindi il passaggio delle ratifiche nazionali. La Conferenza sul futuro dell’Europa, con il contributo dei parlamenti nazionali e dei cittadini europei accanto al Parlamento europeo, potrà offrire il quadro in cui affrontare questo dibattito politico con valenza costituzionale, indispensabile per la nascita di una effettiva unione politica federale.
Lo stesso Parlamento europeo si sta muovendo in questa direzione, sia nelle sue risoluzioni in merito alla Conferenza sul futuro dell’Europa, sia, recentemente, con l’approvazione della risoluzione legislativa sul sistema delle risorse proprie il 15 settembre 2020[8] , in cui è incluso un passaggio in cui si specifica che “In vista delle future deliberazioni sulle modifiche dei trattati, e sfruttando lo slancio impresso dalla Conferenza sul futuro dell'Europa, è opportuno rafforzare la legittimità democratica, la rendicontabilità, la resilienza e l'allineamento delle entrate del bilancio dell'Unione ai suoi principali obiettivi politici, conferendo al Parlamento europeo competenze più ampie nel processo decisionale legislativo e un ruolo più attivo nel monitoraggio dell'attuazione del sistema delle risorse proprie e della relativa legislazione settoriale”, a seguito del parere espresso dall’AFCO (Commissione Affari costituzionali) su richiesta della Commissione Bilanci.
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
Nuova formulazione degli artt. 310, 311, 312 per la creazione di una competenza fiscale autonoma dell’Unione europea
Art. 310
1. Tutte le entrate e le spese dell’Unione devono costituire oggetto di previsioni per ciascun esercizio finanziario ed essere iscritte nel bilancio.
Il bilancio annuale dell’Unione è stabilito dal Parlamento europeo e del Consiglio conformemente all’articolo 314.
2. Le spese iscritte nel bilancio sono autorizzate per la durata dell’esercizio finanziario annuale in conformità del regolamento di cui all’articolo 322.
3. L’esecuzione di spese iscritte nel bilancio richiede l’adozione preliminare di un atto giuridicamente vincolante dell’Unione che dà fondamento giuridico alla sua azione e all’esecuzione della spesa corrispondente in conformità del regolamento di cui all’articolo 322, fatte salve le eccezioni previste da quest’ultimo.
4. L’Unione assicura che il bilancio rispetti il quadro finanziario pluriennale di cui all’articolo 312.
5. Il bilancio è eseguito in conformità del principio di sana gestione finanziaria. Gli Stati membri e l’Unione cooperano affinché gli stanziamenti iscritti in bilancio siano utilizzati secondo tale principio.
6. L’Unione e gli Stati membri, conformemente all’articolo 325, combattono la frode e le altre attività illegali che ledano gli interessi finanziari dell’Unione.
Art. 311
L’Unione si dota dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche.
A tal fine, l’Unione potrà stabilire risorse fiscali e contrarre prestiti.
Si intendono per risorse proprie dell'Unione europea: a) i prelievi diretti effettuati dall'Unione, secondo la procedura prevista dall'art. 311 bis, sulla produzione o sull'importazione di beni e servizi da parte di imprese o cittadini dell'Unione europea; b) i contributi destinati al bilancio europeo da parte degli Stati membri sulla base di imposte armonizzate a livello nazionale conformemente alle disposizioni dell'art. 113 TFUE.
I contributi degli Stati membri al bilancio saranno progressivamente sostituiti da risorse fiscali versate direttamente al bilancio dell’Unione e determinate nella decisione di cui all’art. 311 bis TFUE.
Art.311 bis
Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano una decisione che stabilisce le disposizioni relative alle risorse proprie dell’Unione. In tale contesto è possibile istituire nuove categorie di risorse proprie o sopprimere una categoria esistente.
Il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale, stabilisce le misure di esecuzione del sistema delle risorse proprie dell’Unione nella misura in cui ciò è previsto nella decisione adottata in base al terzo comma. Il Consiglio delibera previa approvazione del Parlamento europeo.
Art. 312
1. Il quadro finanziario pluriennale mira ad assicurare l’ordinato andamento della spesa dell’Unione entro i limiti delle sue risorse proprie.
È stabilito per un periodo di almeno cinque anni.
Il bilancio annuale dell’Unione è stabilito nel rispetto del quadro finanziario pluriennale.
2. Il Consiglio adotta un regolamento che fissa il quadro finanziario pluriennale secondo una procedura legislativa speciale, previa approvazione del Parlamento europeo che delibera a maggioranza dei membri che lo compongono.
3. Il quadro finanziario fissa gli importi dei massimali annui degli stanziamenti per impegni per categoria di spesa e del massimale annuo degli stanziamenti per pagamenti. Le categorie di spesa, in numero limitato, corrispondono ai grandi settori di attività dell’Unione.
Il quadro finanziario prevede ogni altra disposizione utile per il corretto svolgimento della procedura annuale di bilancio.
4. Qualora il regolamento del Consiglio che fissa un nuovo quadro finanziario pluriennale non sia stato adottato alla scadenza del quadro finanziario precedente, i massimali e le altre disposizioni vigenti nell’ultimo anno coperto sono prorogati fino all’adozione di detto atto.
5. Nel corso della procedura di adozione del quadro finanziario, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione adottato ogni misura necessaria a facilitare l’adozione stessa.
[1] Corte di giustizia, sentenza 4 aprile 1974, cause 178, 179, 180/73, Mertens.
[2] Financing the Community budget: The way ahead, COM(78) 531, 21 novembre 1978.
[3] “it is clear that an own resource has a fiscal nature, must be a direct charge on individuals or companies in the <community and be independent of decisions by the Member States; there must also be an automatic link between the Community and the source of revenue, i.e. each economic operation on which the Community tax is levied. Even if the own resource is collected by the Member States this is done on the Community’s account. The revenue is not part of the income of the member States and ought not to need to be either incorporated into their national budgets or voted by national parliaments”.
[4] Future financing of the EU, Final report and recommendations of the High Level Group on Own Resources, dicembre 2016, pp. 16 e 24.
[5] Come si legge nel Rapporto Monti (Future Financing, cit., p. 24), “Typically, any variant of a VAT-based own resource follows this model, as would an own resource based on a financial transaction tax or on a carbon tax. Implementing regulations at EU level can lay down the details of the harmonization rules, the share of the amount of be attributed to the EU level, but all these own resources are based upon taxes existing or created at national level. The basic act of a tax can therefore be decided at EU level at unanimity, e.g. on the basis of article 113 TFEU in the form of a directive such as for the Financial Transaction Tax. It is then transposed into national legislation, levied and collected by Member States. Whether its proceeds are used to finance the national or the EU budget is a separate decision”.
[6] P. Boria, Diritto tributario europeo, 2.ed., Milano, 2015, p. 489.
[7] Il secondo punto che dovrà essere necessariamente affrontato riguarda l’esigenza di pensare ad una riforma dei Trattati che preveda la clausola della ratifica a maggioranza da parte degli Stati membri e includa un protocollo o uno strumento ad hoc per disciplinare il mantenimento dell’acquis communautaire per quegli Stati che non vorranno aderire subito al nuovo Trattato, ma che rimarranno parte integrante del Mercato unico.
[8] https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-9-2020-0146_IT.html#title5
Introduzione
In seguito alla crisi sistemica che in questi ultimi anni ha vissuto l’Unione europea è iniziato un vasto dibattito tra cittadini, accademici, politici nazionali ed europei sul futuro del processo di integrazione. Coloro che credono ancora nel progetto dell’Europa unita hanno ribadito l’esigenza di rifondare l’Unione attraverso una serie di riforme istituzionali e il lancio di nuove politiche comuni al fine di soddisfare le aspettative e le aspirazioni dei cittadini europei.
Tra le proposte di riforma avanzate finora, è necessario soffermarsi sul progetto di capacità fiscale data l’importanza strategica che esso può avere per il rilancio del processo di integrazione.
Scopo del presente contributo è quello di spiegare:
- cosa si intende per capacità fiscale;
- perché è così importante;
- la differenza rispetto ad altri progetti con i quali la capacità fiscale tende ad essere confusa;
- come potrebbe essere realizzata la capacità fiscale nel quadro di una riforma complessiva dell’Unione.
1- Di cosa si occupa questo contributo?
In seguito alla crisi sistemica che in questi ultimi anni ha vissuto l’Unione europea è iniziato un vasto dibattito tra cittadini, accademici, politici nazionali ed europei sul futuro del processo di integrazione. Coloro che credono ancora nel progetto dell’Europa unita hanno ribadito l’esigenza di rifondare l’Unione attraverso una serie di riforme istituzionali e il lancio di nuove politiche comuni al fine di soddisfare le aspettative e le aspirazioni dei cittadini europei.
Tra le proposte di riforma avanzate finora, è necessario soffermarsi sul progetto di capacità fiscale data l’importanza strategica che esso può avere per il rilancio del processo di integrazione.
Scopo del presente contributo è quello di spiegare:
- cosa si intende per capacità fiscale;
- perché è così importante;
- la differenza rispetto ad altri progetti con i quali la capacità fiscale tende ad essere confusa;
- come potrebbe essere realizzata la capacità fiscale nel quadro di una riforma complessiva dell’Unione.
2 - Cosa significa creare una capacità fiscale europea?
La scienza economica e giuridica normalmente intende per capacità fiscale la capacità di raccogliere risorse e di spenderle nell’interesse generale. Tale potere si esercita pertanto su due versanti: quello delle entrate (che possono consistere in tasse o debito) e quello della spesa pubblica (che viene utilizzata per esercitare alcune funzioni, quali il finanziamento di beni pubblici, la redistribuzione della ricchezza, la stabilizzazione dell’economica in caso di shock economici).
Notoriamente la distribuzione delle competenze tra Unione e Stati membri prevede oggi che la capacità fiscale resti una competenza esclusivamente nazionale. Questo pone i Paesi appartenenti alla zona euro in una situazione del tutto particolare. Essi infatti hanno accettato di perdere la loro sovranità monetaria, ma mantengono le loro prerogative esclusive nell’ambito della politica fiscale. Per questo si dice che l’Unione Economica e Monetaria è asimmetrica: mentre l’unione monetaria si fonda su un trasferimento di sovranità, l’unione economica consiste essenzialmente nel coordinamento di politiche nazionali indipendenti. [1]
Creare una capacità fiscale europea è dunque necessario innanzitutto per risolvere questa contraddizione e bilanciare l’asimmetria, creando una sovranità fiscale europea accanto alla sovranità monetaria.
A questo bisogna aggiungere che, storicamente la creazione del potere fiscale ha coinciso con l’atto fondativo di una comunità politica, e ha richiesto un forte controllo democratico su chi lo esercita; per questo le società democratiche hanno sempre richiesto che il potere fiscale venga esercitata dal parlamento. Questo spiega anche l’importanza della creazione di una capacità fiscale europea nella battaglia per la costruzione di un’unione politica europea di tipo federale.
Per essere tale, una capacità fiscale europea deve essere:
- indipendente dalla volontà dei singoli Stati, ovvero deve potersi autodeterminare sia sul lato delle entrate che della spesa;
- in grado di mobilitare risorse rilevanti. A seconda delle funzioni che esso sarà chiamato a svolgere, il bilancio dovrà (a regime) mobilitare tra il 5 e il 10 % del PIL europeo.
3 - Perché è così necessario creare una fiscalità europea?
La creazione di un potere fiscale è il punto di svolta per la battaglia per un’unione politica federale in Europa. Il passaggio da un soggetto confederale a un soggetto federale dipende infatti dallo sviluppo della capacità di autodeterminarsi; e proprio la capacità fiscale è, fra le competenze, quella più prossima alla Kompetenz-Kompetenz, ovvero alla capacità di autodeterminazione propria degli Stati sovrani.
Si noti che storicamente le rivoluzioni dell’età moderna sono state determinate dalla questione relativa a chi dovesse esercitare il potere fiscale (il re o il parlamento, la madre patria o i coloni, l’ancienne régime o la borghesia). Emblematica a questo proposito è la vicenda della trasformazione degli Stati Uniti da Confederazione Federazione. Gli Articles of Confederation non attribuivano capacità fiscale alla Confederazione e prevedevano che questa fosse finanziata da contributi degli Stati membri. L’impossibilità di obbligare gli Stati recalcitranti a versare tali contributi e quindi di pagare i debiti derivanti dalla guerra di indipendenza aveva portato a una situazione di crisi insostenibile che fu risolta solo quando, con l’approvazione della Costituzione federale del 1789, si stabilì che il Congresso avesse il potere di imporre tasse, e che dunque la Federazione non dipendesse dagli Stati per il suo finanziamento.
L’attuale Unione si basa notoriamente sul principio di attribuzione: essa può fare solo ciò che gli Stati membri (all’unanimità) le dicono di fare; ciò è in gran parte dovuto al fatto che chi decide delle risorse, indirettamente decide anche di tutte le politiche che riesce a finanziare con quelle risorse. Non è un caso allora che le Corti costituzionali nazionali abbiano da sempre considerato la competenza fiscale come un dominio riservato degli Stati. Ne va della capacità dei Paesi membri di detenere la sovranità in ultima istanza.
4 - Le false vie alla capacità fiscale europea
Nel dibattito in corso sul futuro dell’Unione europea, il tema della riforma del bilancio dell’Unione europea, della creazione di nuove risorse proprie europee, dell’armonizzazione fiscale nel quadro della regolamentazione del mercato interno viene spesso confuso con la questione della creazione di una capacità fiscale europea. In realtà in questo modo vengono sovrapposti due piani completamente diversi. Si tratta di un chiarimento preliminare indispensabile per affrontare con consapevolezza il problema della creazione di una capacità fiscale a livello europeo.
Il problema della riforma del bilancio dell’Unione europea
Il bilancio dell’Unione europea non è espressione di una capacità fiscale europea. Esso si finanzia per la maggior parte (più del 70%) con trasferimenti diretti dai bilanci nazionali e in piccola parte con le cosiddette ‘risorse proprie’, ovvero risorse raccolte dagli Stati membri in settori regolati dal diritto UE (agricoltura, dazi) e successivamente trasferiti ai bilancio UE.
Le risorse di cui gode il bilancio UE non godono pertanto delle due caratteristiche tipiche della capacità fiscale:
- manca l’indipendenza del bilancio UE dalla volontà dei singoli Stati membri: è vero che i singoli bilanci annuali dell’UE sono decisi dal Parlamento europeo e dal Consiglio alla pari, ma tale meccanismo riguarda solo le spese, che peraltro devono mantenersi nei limiti fissati ogni 7 anni nel Quadro finanziario pluriennale approvato all’unanimità dai governi nazionali nell’ambito del Consiglio previa approvazione del Parlamento Europeo (art. 312 TFUE). Per quanto riguarda invece le entrate, l’art. 311 TFUE stabilisce che il sistema delle risorse proprie sia deciso dal Consiglio all’unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo, e che in seguito detta decisione sia approvata dai singoli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. Oltre al fatto che in tale procedura l’organo rappresentativo dei cittadini – il Parlamento europeo – viene solo consultato, ogni governo mantiene dunque il diritto di veto sulla questione delle risorse trasferite e poi utilizzate dal bilancio UE.
- in questo quadro, il bilancio manca strutturalmente di una dimensione rilevante. Oggi esso ammonta ad appena l’1% del PIL prodotto dall’intera Unione europea perché è concepito per finanziare politiche legate allo sviluppo del mercato interno, e non per svolgere – a differenza dei bilanci degli Stati federali – alcuna funzione di finanziamento di beni pubblici europei né alcuna funzione redistributiva. Realisticamente, la dimensione del bilancio potrà essere ampliata in modo significativo solo quando la sua funzione sarà pensata nell’ottica di un governo sovranazionale europeo.
Questo non toglie che si possa anche trovare il modo di migliorare l’attuale bilancio dell’Unione europea, ma ogni riforma in tal senso non andrebbe a cambiare la natura in ultima istanza intergovernativa dell’attuale meccanismo di bilancio europeo.
Lo sviluppo del sistema delle risorse proprie
Alcuni credono che sia possibile creare un nucleo di potere fiscale europeo semplicemente sviluppando l’attuale sistema delle risorse proprie (art. 311 TFUE). Ciò non sembra al momento possibile; infatti, le risorse proprie non sono un embrione di tasse europee, ma delle tasse nazionali legate a settori dell’economia regolati dal diritto UE, che le autorità nazionali decidono di assegnare in modo stabile all’Unione europea. Le risorse europee sono raccolte dalle autorità nazionali e sono nella maggior parte dei casi registrate nei bilanci nazionali. L’Unione europea non ha dunque alcun potere di dar vita a nuove risorse, né di decidere il loro ammontare e il loro utilizzo, indipendentemente dall’accordo di tutti gli Stati membri.
La necessità dell’accordo all’unanimità di tutti gli Stati membri non è del resto la causa del problema, ma l’effetto del sistema attuale. Per questo le recenti proposte avanzate anche dalla Commissione europea di introdurre il voto a maggioranza in materia fiscale rimangono profondamente contraddittorie. Tali proposte sono probabilmente motivate dallo stallo in cui si trova attualmente il Consiglio a causa delle divisioni interne tra i governi, e dal fatto che il tentativo di aggirare il principio dell’unanimità attraverso il sistema delle cooperazioni rafforzate in materia fiscale si è arenato per via delle clausole che regolano queste ultime e che le rendono inadatte allo scopo. Tuttavia, al di là del fatto che per approvare una riforma di questo tipo rimane necessaria l’unanimità (che si scontra con la volontà di una parte dei paesi membri di mantenere il pieno controllo della sovranità fiscale), se anche fosse stabilito il voto a maggioranza qualificata nel Consiglio per decidere nuove risorse proprie è impensabile che gli Stati contrari accettino di limitare la propria sovranità in questo campo applicando tasse cui si sono opposti. Proprio per il fatto che il sistema delle risorse proprie, anche nell’ipotesi di un passaggio al voto a maggioranza qualificata, si fonderebbe su decisioni rivolte agli Stati membri - dalla cui volontà dipenderebbe dunque ancora la raccolta di dette imposte e il loro versamento al bilancio dell’Unione - il risultato non potrebbe essere altro che un impasse (e la questione della ripartizione di quote dei migranti insegna), oppure un mantenimento del funzionamento del Consiglio sulla base del raggiungimento del consenso (unanime) in materia fiscale (come del resto avviene già in molti settori in cui l’interesse nazionale dei singoli Paesi è più toccato, al di là delle regole previste dai trattati).
Del resto, come si legge anche nel Rapporto Monti sulle risorse proprie, per creare vere e proprie imposte europee (e dunque per dar vita ad una capacità fiscale dell’Unione) è necessario che queste ultime: i) siano decise dall’Unione sulla base delle proprie scelte di politica economica,; ii) confluiscano direttamente nel bilancio dell’Unione (il cui ammontare non sarebbe più deciso all’unanimità dagli Stati membri); iii) che il livello sovranazionale venga dotato di un’amministrazione in grado di esigere il pagamento di tali imposte da parte dei privati.
La realtà, pertanto, è che per poter diventare delle imposte europee, le ‘risorse proprie’ devono diventare espressione di un potere fiscale europeo, guadagnando le due caratteristiche tipiche dell’indipendenza e della rilevanza; e ciò può avvenire solo attraverso un nuovo quadro giuridico che istituisca nuove norme in materia di sovranità fiscale.
L’armonizzazione delle politiche fiscali nazionali
L’armonizzazione fiscale, prevista espressamente per le imposte indirette dall’art. 113 TFUE e che richiede una decisione unanime del Consiglio (e dunque l’accordo di tutti gli Stati membri), è questione ben diversa rispetto alla creazione di un potere fiscale europeo. Per armonizzazione fiscale si intende in effetti l’eliminazione delle disparità maggiori esistenti tra i sistemi fiscali degli Stati membri, attraverso l’imposizione di misure volte a rendere uniforme la base imponibile o l’aliquota applicata negli stessi in relazione a una medesima imposta.
L’armonizzazione fiscale è oggi oggetto di dibattito soprattutto in relazione all’imposta sulle società, a causa delle aliquote particolarmente basse applicate da alcuni Stati membri al fine di attrarre investimenti, che hanno come effetto di falsare la concorrenza all’interno del mercato unico e di prestarsi ad abusi da parte delle multinazionali.
L’esempio classico di armonizzazione fiscale è costituito dall’imposta sul valore aggiunto, in relazione alla quale oggi è prevista una base imponibile uniforme e un ravvicinamento delle aliquote applicate nei vari Stati membri. Anche nel caso in cui, tuttavia, come nell’ipotesi dell’IVA, una quota di un’imposta armonizzata sia versata dagli Stati membri nel bilancio UE, non siamo di fronte a una capacità fiscale dell’Unione. Si tratta infatti di imposte nazionali – se pur rese simili attraverso l’armonizzazione – raccolte dalle autorità nazionali e utilizzate dalle stesse, una parte delle quali è versata da dette autorità al bilancio dell’Unione.
5 - Come si può creare un potere fiscale europeo?
Per creare un potere fiscale europeo bisogna fare i conti non solo con alcuni problemi cronici relativi al trasferimento di nuove competenze a livello europeo, ma anche con alcune contingenze specifiche dell’attuale fase del processo di integrazione europea.
Oggi i governi hanno una diversa visione del futuro dell’integrazione europea. A fronte di alcuni Paesi favorevoli ad una maggiore integrazione (come Francia, Spagna, Portogallo, Slovenia, Slovacchia, Malta), ve ne sono altri che sostengono il mantenimento dello status quo, pur con qualche aggiustamento (come la Germania, la Finlandia, i Paesi Bassi); e c’è poi il blocco dei Paesi sovranisti (al momento non solo Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, ma anche un Paese fondatore come l’Italia ha rischiato e rischia di finire in questo gruppo).
Inoltre, al fine di mantenere il benessere e la stabilità della loro economia, i governi si confrontano con priorità e situazioni diverse: i Paesi euro, non godendo di una sovranità monetaria autonoma come strumento di stabilizzazione delle loro economie, hanno bisogno di meccanismi comuni per assorbire shock economici e implementare riforme strutturali dei loro sistemi economici; inoltre le loro economie sono più interdipendenti. I Paesi non euro, invece, sono più autonomi dagli altri Paesi UE, anche se alcuni tra loro godono di importanti trasferimenti da parte del bilancio UE. Tuttavia, anche i Paesi non euro richiedono la stabilità della zona euro come condizione necessaria per il corretto funzionamento del mercato interno
Infine, i trattati esistenti non permettono di creare un potere fiscale europeo. Mentre i trattati permettono un’armonizzazione leggera dei sistemi fiscali nazionali, ed eventualmente la creazione di nuove risorse proprie per l’alimentazione del bilancio UE o di una linea di bilancio per la zona euro, non permettono invece la creazione di una capacità fiscale europea dotata dell’indipendenza e della necessaria rilevanza di cui si parlava. Inoltre, tutte le decisioni in materia devono essere adottate all’unanimità (art. 311, art. 312, art. 113, art. 352 TFUE).
Bisogna inoltra aggiungere che, per i motivi ricordati in precedenza, le Corti costituzionali rimangono ostili alla creazione di un potere fiscale europeo e potrebbero essere tentate dall’attivare i ‘controlimiti’, ovvero bloccare gli atti europei che loro ritengano essere ultra vires o in contrasto con l’identità costituzionali dello Stato membro.
La creazione di un potere fisale europeo richiederà pertanto un atto politico di rottura rispetto al quadro giuridico europeo esistente (in questo senso sarà un atto rivoluzionario). Per pilotare il processo di integrazione europeo fino ad arrivare a questo momento si devono prendere in considerazione alcune esigenze.
- L’atto giuridico che crea la capacità fiscale non può essere altro che un nuovo trattato di modifica dell’UE da approvarsi a maggioranza.
- L’ obbiettivo è quello di modificare il quadro giuridico UE e creare una nuova competenza. In questo senso il nuovo trattato sarebbe diverso dal Fiscal compact o dal Trattato MES che istituivano strumenti intergovernativi per gruppi di Stati membri. Il trattato di modifica ha invece l’ambizione di emendare il quadro giuridico UE.
- Essendo però prevista l’adozione a maggioranza verrebbe superato l’ostacolo dell’unanimità prevista dall’art. 48 TUE. Ovviamente ciò porterebbe alla creazione di almeno due gruppi di Stati: chi aderisce al nuovo trattato Europa 2.0 e chi rimane vincolato solo ai trattati attuali dell’Europa 1.0.
- Resta la difficoltà di far convivere per un periodo eventualmente lungo il funzionamento dell’Unione 1.0 con quello dell’Unione 2.0. A proposito si tengano comunque in considerazione alcuni accorgimenti.
- Si applicheranno le regole del diritto internazionale pubblico, in particolare i principi della successione dei trattati nel tempo, secondo il quale l'ultimo cronologicamente abroga gli altri, e quello dell'inefficacia dei trattati rispetto ai terzi. In questo modo le due unioni (strutturate su due cerchi) possono convivere eliminando al massimo le frizioni.
- Il quadro istituzionale dell’UE dovrà essere riformato (in parte) per funzionare contemporaneamente per le due Unioni. Mentre il Consiglio può funzionare facilmente con composizioni variabili, la Commissione dovrebbe essere snellita al fine di superare l’idea che ogni Stato ha un suo rappresentante. Il Parlamento e la Corte di giustizia possono invece mantenere la struttura esistente: i singoli eurodeputati e i giudici non sono infatti soggetti all’obbligo di mandato. Eventualmente si potrebbe creare un comitato di deputati della zona euro all’interno del Parlamento europeo (sul modello della West Lothian Question nel parlamento britannico).
- Per i motivi sopra elencati l’adozione di un trattato di modifica da adottarsi a maggioranza non seguirà la procedura prevista nei trattati esistenti (art. 48 TUE), ma dovrà essere maturata all’interno di una convenzione a cui parteciperanno istituzioni nazionali ed europee e rappresentanti dei cittadini.
6 - Conclusione
Il dibattito attualmente in preparazione sul futuro dell’Europa, a partire già dalla Conferenza proposta dal Presidente francese Macron e ripresa dai partiti pro-europei nel Parlamento europeo e dalla Presidente della Commissione europea nelle sue linee programmatiche, non potrà non affrontare il tema dell’efficacia del governo europeo per poter attuare politiche interne ed estere che permettano agli Europei di proteggere i propri valori e i propri interessi nel mondo. Tale efficacia è subordinata alla creazione di nuovi strumenti europei che permettano di superare l’attuale subordinazione del funzionamento dell’UE alla volontà politica degli Stati membri; subordinazione che è alla radice della preponderanza del metodo intergovernativo nel quadro comunitario e che ha nella mancanza di un potere fiscale a livello europeo la sua ragione fondamentale. Pur in un quadro di checks and balances adeguato a garantire la tutela di tutti gli Stati membri, è diventata perciò indilazionabile la creazione di una capacità fiscale europea, espressione di una nuova sovranità europea da affiancare a quella degli Stati nazionali.
Come cerca di spiegare questo contributo, la creazione di tale nuova capacità è complessa nell’odierno quadro europeo, ma possibile. Esso deve necessariamente accompagnarsi ad un atto politico di presa di coscienza dei nuovi compiti che attendono l’Unione europea nell’attuale sistema internazionale; un atto politico in continuità con gli scopi originari del processo di unificazione europea e con il pensiero dei Padri fondatori, e pertanto in grado di produrre un diverso quadro giuridico dell’UE senza venir meno al rispetto e all’inclusione di tutti i Paesi membri.
[1] La contraddizione esistente tra l’interdipendenza di fatto tra i Paesi membri dell’area euro determinata dalla condivisione della moneta unica e dai fortissimi legami tra le economie nazionali, da un lato, e la mancanza di una politica economica e fiscale unica, dall’altro, è emersa con evidenza durante la crisi economica e finanziaria. Allo scoppio della crisi non esistevano strumenti né per affrontare il rischio di default cui i mercati hanno immediatamente esposto i Paesi che – per ragioni diverse – stavano subendo maggiormente la crisi, né strumenti per perseguire il superamento degli squilibri tra Stati membri e intervenire con proprie risorse per sanare detti squilibri e favorire crescita e investimenti. Nell’emergenza si è fatto ricorso a strumenti di carattere intergovernativo che hanno sia creato fondi di solidarietà, sia accresciuto i meccanismi di controllo sulle politiche di bilancio dei Paesi membri dell’eurozona, prima (di fatto) sottoposti soltanto alla disciplina dei mercati, rivelatasi del tutto inadeguata. Questi nuovi strumenti sono anche quelli che hanno reso possibile la politica monetaria espansiva della BCE, cui si deve la salvezza dell’euro. Il risultato complessivo, però, si è tradotto in un sistema in cui, per preservare la propria sovranità fiscale, gli Stati membri, se da un lato hanno confermato la necessità (dovuta non solo all’appartenenza all’euro, ma ancor più all’insostenibilità finanziaria di livelli di debito troppo elevati) di limitare la propria autonomia in materia di politica di bilancio, dall’altro hanno scelto di non accompagnare tale limitazione con un bilanciamento economico e politico attraverso la creazione di un vero governo a livello sovranazionale in grado di adottare le decisioni di politica economica e fiscale necessarie per lo sviluppo armonico di un’area monetaria unica. Il nuovo sistema prevede infatti anche meccanismi di condizionalità per incentivare gli indirizzi delle politiche economiche nazionali – che restano prerogativa assoluta degli Stati – ma ignora completamente l’esigenza di mettere in campo quelle politiche pubbliche sovranazionali per lo sviluppo, per la stabilizzazione, per la solidarietà, che i singoli Stati membri non possono attuare per carenza di risorse e di visione politica a livello nazionale.




















Il Federalista


























